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DUE PRESENZE
Due presenze
“Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.
Modificando nella forma, ma non nella sostanza quello che Foscolo scrive nel suo famosissimo carme, questa lettura mi ha fatto pensare al fatto che la scrittura “vince di mille secoli il silenzio”. Beh, Trevi non parla di secoli, ha mire meno gloriose. “Due vite” è una breve, tratteggiata ricostruzione del ricordo di due amici suoi carissimi, scomparsi anzitempo: Rocco Carbone, morto in un incidente d’auto e Pia Pera, consumata dalla SLA.
Quest’anno è stato prolifico di libri che hanno ricostruito biografie di persone care scomparse, si è trattato in qualche modo sempre di opere celebrative.
Il libro di Trevi non cade nella retorica e nel memoriale, qui sta la sua bravura: egli ha scritto un libro in cui ricorda i suoi due più cari amici di gioventù, proponendo qualcosa di elegante e di nuovo. Niente dolore, niente rimpianti, non assenze, ma presenze e ciò grazie alla scrittura.
“La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti, e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne, accorgendosi ben presto che il morto è attirato dalla scrittura, trova sempre un suo modo inaspettato per affiorare nelle parole che scriviamo di lui, e si manifesta di sua propria volontà, non siamo noi che pensiamo a lui, è proprio lui una buona volta”.
La scrittura come terapia dell’accettazione della perdita: non importa se durante o dopo l’elaborazione del lutto, la penna di Trevi, matura, equilibrata, sapiente ci racconta di Rocco e di Pia, uno scrittore perfezionista, una poetessa intelligente e anticonformista, così come li aveva conosciuti, indicando i momenti più importanti della loro amicizia. Attraverso la lettura di “Due vite” ho scoperto i titoli di opere meravigliose ormai fuori catalogo: gli scritti di Rocco e di Pia, raccontati da Trevi, sembrano dei capolavori perduti nelle nebbie del tempo e dell’incomprensione dell’editoria e del pubblico.
All’interno del libro c’è una foto che Rocco aveva scattato all’autore e a Pia: erano felici, forse anche un pò brilli, commenta Trevi. Quella fotografia che così generosamente l’autore condivide con noi lettori ci fa essere d’accordo con lui:
“Inspiegabilmente, alla fotografia si associa l’idea dell’«immortalare», ma è un modo di dire sbagliato, non c’è nulla che più della fotografia, in un modo o nell’altro sempre vincolata all’attimo e al presente, ci ricordi la nostra transitorietà e futilità”.
Anche la scrittura è vincolata all’attimo? Dipende, nel caso del libro, Trevi ci affida tantissimi attimi, attraverso i quali possiamo innamorarci anche noi di Pia, così fragile, ma dal carattere così forte, abile nel giardinaggio, scrittrice e poetessa senza censure. Proviamo simpatia per Rocco Carbone che nelle prime battute del libro, Trevi avvicina a Ciccio Ingravallo, celebre personaggio gaddiano “Non è affatto un’associazione arbitraria. Lui stesso si era totalmente identificato nel modello letterario, in quei primi anni di impatto e assimilazione di Roma. Fin dalla prima pagina, si era riconosciuto in quel commissario di polizia «misero e pertinace (…)”.
Ekphrasis finale, sigillo d’autore è l’elegante ed efficace chiusura ad anello del libro: il famoso e provocatorio dipinto di Courbet, “L’origine del mondo”, ammirato dal trio di amici in una mattina d’estate del 1995 al Musée d’Orsay apre il libro e, riprodotto in una cartolina un pò spiegazzata infilata tra il vetro di una credenza o tra i libri dello scaffale, ricordo di quella meravigliosa giornata insieme, lo chiude.
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