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L’ANASTILOSI DELL’ANIMA
“Non la luce, Cloe. Caravaggio dipingeva l’ombra, il buio. Conosceva il luogo oscuro. Ciò spiega la presenza copiosa di materia organica suppurante nei suoi dipinti. Si sporcava le mani con la vita vera, quella che gli altri non vedono perché disturba. La luce nei suoi dipinti, la luce su cui noi ci soffermiamo per indicarne il genio, è un bianco che si afferma per contrasto: se non ci fosse ombra, non lo vedremmo”.
Si fa chiamare Cloe, ma il suo vero nome è Clotilde ed è una giovane donna che per guarire dai fantasmi del passato, deve scavare alle origini del suo dolore, un processo che la dilania, ma che è necessario. E’ “un’anastilosi”, un processo lungo che ogni tanto subisce dei “soprassalti”.
Un libro che non è per tutti, una storia difficile, non soltanto per il focus, doloroso e disturbante, ma anche perché spesso può servire rileggere alcuni passaggi più ostici per la comprensione. L’anastilosi è un processo di ricostruzione e di restauro utilizzata per le rovine antiche e il lettore stesso è chiamato a partecipare al fianco di Cloe per raccogliere e mettere assieme i pezzi della storia di lei e, pagina dopo pagina, vengono forniti pezzi di storia, però solo verso la fine sarà più chiara la vicenda della protagonista. I pezzi del mosaico non si presentano in ordine.
La vicenda comincia in medias res, a Venezia, dove Cloe conosce un uomo particolarissimo e solitario, un’ anima in pena, ombra di un’anima egli stesso, che nella storia compare col nome di “professor T.”. Costui nella città lagunare tiene un corso interessante, “Estetica dell’ombra”.
Il richiamo a Borges, “Elogio dell’ombra” è palese, e, forse anche al libro di Tanizaki, “Il libro d’ombra”, ma per quest’ultimo non è detto, poiché legato prettamente al valore dell’ombra dell’antica cultura giapponese.
Il professore e Cloe sono due mendicanti dell’amore (come il titolo di una bellissima canzone che ascoltava mia madre, se non erro, degli Alunni del sole).
Il professor T. a sprazzi, brevi ed intensi, si presenterà al fianco di Cloe che gli rivelerà la sua storia, il suo passato doloroso, il senso di colpa nei confronti del suo amato fratellino Emanuel, il bisogno di essere amata, la necessità di scoprire la verità sul suo abbandono da parte della madre, che lei chiama per nome, Beatrice.
Ho amato il professor T., è il personaggio più toccante, affascinante di tutto il romanzo. La sua disperata solitudine, con cui ha imparato subito a convivere dopo essere stato lasciato dall’amata, è diversa da quella di Cloe.
Il professor T. è un uomo maturo, ha già sperimentato il dolore, lo affronta vis à vis, le sue riflessioni sono di una profondità impressionante: “Abbiamo i sensi irritati dalla luce, accecati da fonti luminose che perseguitano l’ombra. Rifuggiamo l’oscurità come se temessimo di venirne risucchiati”.
Lui conosce alla perfezione il pregio dell’ombra, ed è proprio dall’ombra che Cloe dovrà cominciare a ricostruire il suo passato, sparando colpi di luce su quei fantasmi che vengono a ghermirla ogni notte.
Ma prima di conoscere il professore, la protagonista sembra quasi crogiolarsi nel dolore, nel farsi del male, consapevole che la strada è quella sbagliata, ma cosa importa? Cambia sempre città, cambia nome, passa da un letto a un altro, perchè ha necessità di sentirsi viva e amata, perché ha necessità di racimolare briciole di amore, quell’amore che le è stato negato a dieci anni, abbandonata dai genitori. Ad un certo punto Cloe, secondo un meccanismo che non è nuovo nella nostra realtà contemporanea, frequenta i social network e si costruisce una identità virtuale.
“La mia identità frantumata trovò una temporanea ricostruzione (anastilosi virtuale) nell’identità che post dopo post mi ero costruita sul social network, al punto da convincermi che stare nelle cose del mondo significasse postare. (…) ero arrivata a convincermi che la vita si realizzasse raccontandola ad un numero sempre più crescente di destinatari”. Si sentiva finalmente percepita, approvata. Ma questa esperienza si rivelerà deludente e provvisoria.
Conoscere il professor T. e ritornare alla Collina saranno gli input per iniziare il suo doloroso e difficile cammino terapeutico, la sua anastilosi dell’animo.
“La pazzia non esiste, diceva,esistono le ferite dell’anima, esiste l’inconscio inascoltato”.