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L’UNICA, INFINITA ESTATE DELL’AMICIZIA
È la prima volta che mi imbatto in Cognetti, avevo più volte letto e ascoltato in giro recensioni positive su “Le otto montagne” e mi ero proposta prima o poi di leggerlo. L’approccio è stato di pura curiosità ed ho cominciato con l’audiolibro letto meravigliosamente da Jacopo Venturiero su Audible. Questa modalità mi ha permesso-apro questa breve parentesi - di continuare a leggere quando non avevo proprio tempo di aprire e tenere in mano un libro che non fosse quello per studiare e lavorare.
Se un libro ascoltato mi piace, mi butto a capofitto nel procurarmelo anche cartaceo. L’ho dunque fatto con “Le otto montagne”?
No, perchè, nonostante sia una bella storia, per certi momenti anche toccante, non l’ho ritenuto necessario, lo spazio in libreria mi costringe a procurarmi solo capolavori.
Questo romanzo si legge (e si ascolta) con estremo piacere, la storia non è banale, regge dall’inizio alla fine e la consiglio a tutti, in particolare a quelli che amano le ambientazioni di montagna, la vita di montagna e le storie di amicizia.
Il protagonista è Pietro ed è anche la voce narrante: fin da bambino passa l’inverno a Milano e in estate sale in montagna con i suoi genitori. L’altro personaggio chiave è Bruno, l’amico montanaro, che dalla montagna proprio non riesce a staccarsi e vive lì e (forse) non conoscerà mai la vita di città, perchè della vita urbana “non sa che farsene”.
Il libro segue una narrazione lineare, senza grossi flashback che non siano piccoli e brevi ricordi, e comincia dall’infanzia dell’io narrante: con brevi tratti di penna Cognetti delinea il carattere dei genitori di Pietro, ci racconta dei loro ricordi, del comune amore verso la montagna. Il papà, burbero e cupo, diventa un’altra persona quando sale in montagna, il suo vero habitat, dove riscopre se stesso e la voglia di vivere; la mamma, calma, dal carattere solare fa amicizia con tutti, sia in città che in montagna, sa farsi ben volere col suo altruismo e i suoi modi.
La vita di montagna affascina sin da subito il piccolo Pietro, che una mattina, aveva sui sei o sette anni, di buon’ora si fece trovare vestito di tutto punto pronto per accompagnare il papà nelle sue scalate.
“Io osservavo le case diroccate e mi sforzavo di immaginarne gli abitanti. Non riuscivo a capire come mai qualcuno avesse scelto una vita tanto dura. Quando lo chiesi a mio padre lui mi rispose nel suo modo enigmatico: sembrava sempre che non potesse darmi la soluzione ma appena qualche indizio, e che alla verità io dovessi per forza arrivarci da solo. Disse: ? Non l’hanno mica scelto. Se uno va a stare in alto, è perché in basso non lo lasciano in pace. – E chi c’è, in basso?
? Padroni. Eserciti. Preti. Capi reparto. Dipende.”
Le vette vengono citate da loro come se fossero familiari amati, ma lontani. In una di quelle estati della sua infanzia, Pietro conosce Bruno, un ragazzino della sua età, che vive stabilmente con la sua famiglia lassù, a Grana, ai piedi del Monte Rosa e da quel momento saranno entrambi uniti da profonda amicizia.
Ogni inverno in città sarà vissuto nel ricordo della montagna, cercata e ammirata nelle pagine delle guide del CAI, sfogliato “come diario” , Milano sarà “una nebbia di persone e automobili da attraversare due volte al giorno” in confronto al paradiso quasi perduto di Grana.
E quando, terminata la scuola, Pietro con la famiglia fa ritorno all’amato paesino, Bruno, che aveva sorvegliato i tornanti per controllare il passaggio dell’amico, lo chiama “senza salutarlo, nè niente”, come se si fossero visti il giorno prima, perchè “la nostra amicizia sembrava vivere un’unica infinita estate”.
Bruno troverà anche un soprannome per l’amico, lo chiamerà “Berio”, che nel dialetto del posto significa “sasso”, ma non saranno le uniche parole che l’amico montanaro gli insegnerà. Pietro apprende una nuova lingua, fatta di concretezza e l’italiano parlato a Milano, studiato a scuola, al confronto sembra astrazione. Il larice si chiama “brenga”, l’abete rosso “la pezza”, il pino cembro “l’arula”: quel “dialetto che trovavo più giusto dell’italiano”.
Il lettore si troverà a salire “per ripide balze erbose” e “per macerati e residui di nevai” , insieme ai personaggi e verrà coinvolto nelle loro vicende: Bruno è un montanaro rozzo, ma capace di grandi gesti e di sincera lealtà, Pietro è inquieto come suo padre, pur adorando la montagna, non riesce a vivere stabilmente in un posto e si allontanerà di continuo, senza costruire nessun legame autentico con altre persone, nè uomini e nè donne, viaggerà per il mondo alla ricerca di se stesso.
Pietro è un personaggio dai tratti spesso contraddittori, come la montagna:
“(...) ogni valle possedeva due versanti dal carattere opposto: un adret ben esposto al sole, dove c'erano i paesi e i campi, e un envers umido e ombroso, lasciato al bosco e agli animali selvatici. Ma dei due era l'inverso quello che preferivamo”
La montagna non è solo calma, bellezza e purezza, ma anche asperità, difficoltà, vita dura. Nel libro non c’è nessun cenno di idillio, ma è estremamente realistico, non mancano neppure tratti particolarmente crudi. Una bella lettura.
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