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La giornata d'uno scrutatore
 
La giornata d'uno scrutatore 2021-06-17 08:53:03 siti
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siti Opinione inserita da siti    17 Giugno, 2021
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Onestà intellettuale

In una giornata piovosa del 1953, Amerigo Ormea, iscritto a un partito di sinistra, si reca al seggio elettorale istituito presso il Cottolengo, le strade torinesi non gli sono familiari in quel quartiere, e alle cinque del mattino rimugina sul fatto che neanche la pioggia sarà un deterrente in uno Stato dove “l'organizzazione per far votare tutti funzionava sempre”, soprattutto nell’anno della “legge truffa”, quella che avrebbe concesso i due terzi dei seggi alla coalizione che avesse guadagnato il 50% +1 dei voti. Quella legge che i partiti all’opposizione sapevano essere una trovata di De Gasperi volta a garantire il perfetto centrismo contro le minacce della destra e della sinistra. La Dc subì insieme a i partiti di centro una pesante sconfitta, si susseguirono i governi Pella e Scelba mentre Fanfani successe a De Gasperi alla guida della segreteria politica della Dc.
Amerigo non è però un politico, né un attivista, gli è stato chiesto di dare una mano e lui si avvia presso il grande istituto religioso a controllare la regolarità delle operazioni di voto, la sua unica preoccupazione sembra addirittura essere quella di avere le scarpe bagnate e di doverle tenere ai piedi tutto il giorno. È un uomo mite, un piccolo uomo, un divertente rovesciamento, oserei direi, del comunista impegnato. Nei panni del piccolo uomo qual è, è dunque schiacciato dalle preoccupazioni spicciole di un mondo conosciuto e dal quale non sia aspetta niente, mentre vive con ansia il dover trascorrere la giornata “al di là delle frontiere del suo mondo”. Sarà nella culla dei “cutu”, di quelli che internati il mondo civile dimentica, lui comunista tiepido, non al passo con i tempi, ma pur sempre ottimista anche se disincantato rispetto alle logiche di potere. Lì ad osservare la mesta macchina democratica dopo i fasti fascisti, in una sezione elettorale squallida e grigia come quelle del resto d’Italia. Lui, un rappresentate semmai “d'una religione laica di dovere civile”. Un civis? Un portatore di civiltà? O un nostalgico credulone di una rinnovata democrazia? Quella senza l’apparato burocratico, quella che si serve dell’uomo, del civis appunto. La giornata lentamente trascorre tra le adempienze tipiche del seggio, schede, incrocio dei dati, conferma di identità e accoglienza. Qui tutti votano: idioti, deformi, è l’uguaglianza dei diritti civili fatta carne per volere della Chiesa, ora giustamente ripagata del suo umanesimo. Il compito di Amerigo è quello di frapporsi all’estensione generalizzata del diritto di voto a esclusivo vantaggio di una parte, ma rimpiange di aver ceduto il suo tempo al dovere civile, avrebbe potuto benissimo trascorrere la domenica con Lia, la bellezza richiamata alla mente dopo una sovraesposizione al brutto del mondo. “La sua battaglia legalitaria contro le irregolarità e i brogli non era ancora cominciata e già tutta quella miseria gli era calata addosso come una valanga”. Lui è un comunista tiepido, lo abbiamo già detto, il suo dubbio ideologico si sposa con il suo avvertirsi uomo: “Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant'era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere”. Il Cottolengo con la galleria dei casi umani lo ridimensiona più di quanto già non lo fosse entrandoci al mattino presto. I dubbi esistenziali lo accompagnano per tutto il tempo, la riflessione unisce il fisico al metafisico, ad annullare politica, progresso e storia, ad annullare le differenze, a rimarcare la vanità del tutto. La vanità della storia. A ciò si aggiunge la riflessione sul suo rapporto con Lia della quale non conosce nemmeno l’orientamento politico e che non si cura certo di avvicinare al partito, a lui non tange la propaganda e il proselitismo. Lia gli rivela di essere in attesa proprio durante la pausa della sua giornata da scrutatore, quando tornato a casa si è rifugiato nelle sue certezze, e ciò ha per lui dello sconvolgente perché è fermamente convinto che lui non possa in prima persona addossarsi la colpa di procreare, quella stessa colpa che critica e che, secondo le sue teorie, sta alla base della deriva umana verso l’imperfezione e il male del mondo. Le suggerisce l’aborto mentre lei rivendica il suo diritto al controllo del proprio corpo. Il pomeriggio lo riporta al contatto con la realtà, con la sofferenza, con la pietà umana e perfino con l’amore, le sue riflessioni acquistano finalmente un equilibrio etico e morale, un opportuno allargamento di orizzonte. Onestà intellettuale. Adoro Calvino.

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