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Non dire mai...
Maria è bambina, graziata dalla giovinezza che le concede di non piegarsi al peso delle parole altrui.
Così, abituata a una madre che di fronte alle altre comari lamenta l’arrivo della Quarta e dello sforzo ulteriore nella situazione sua disgraziata di vedova. Si adatta a quell’essere chiamata con un numero ordinale, invece che col nome proprio. O, tutt’al più, l’Ultima.
Viste le difficoltà di mettere un tozzo di pane nel piatto, Anna Teresa Listru cede Maria in adozione a Tzia Bonaria, che accoglie amorevolmente la piccola nella sua casa vuota.
Accabadora è colei che aiuta a raggiungere la fine, in una terra pervasa di suggestione e superstizioni è lecito e tacitamente convenuto quel che altrove è null’altro che delitto.
Ciò che insegnerà l’accabadora a Maria sarà riconoscere la differenza tra pietà e complicità, alla fine di un percorso in cui due anime nate sole, strette in un legame affettivo sempre più solido, convoleranno al loro naturale destino: la vita, la morte.
Un romanzo che calza come un vecchio velluto verde e prezioso, un velo sul capo ricamato da merletti in tombolo nero, narrando di una Sardegna di terra e sudore, di fatture e benedizioni, di uomini e donne che sono isola ancora più dell’isola stessa, protetti da una legge che non sta né in cielo né in terra né sui testi giuridici.
Spicca la narrativa di Michela Murgia per il realismo attribuito ai personaggi in una scenografia perfettamente affrescata, aspra la vita e aspra la gente, scavando tra le pietre un cuore satollo di nettare come quegli acini d’uva rossa e dolce, nella vigna dei Bastìu.
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Splendido commento!