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In bella calligrafia
Questo di Teresa Ciabatti non è un romanzo, è una resa dei conti, una storia situata nel mezzo del cammin di nostra vita di una donna come un’altra, una protagonista intenta per una coincidenza, un ritrovarsi con l’amica Federica a distanza di anni dalla loro comune gioventù, a dover riconsiderare i tempi della sua vita quando le sembravano tutte belle tante cose, ma solo quelle riferite alle altre ragazze, come spesso succede a quell’età.
Perché lei si sentiva inadeguata, e questa sua inidoneità di donna le è rimasta addosso, malgrado sia oramai una scrittrice affermata, che nega di esserlo ma è fiera e tronfia di sé, che pare qui rivolgersi direttamente ai suoi lettori, quasi cercandone l’assoluzione.
Come dire, quasi che Teresa Ciabatti ci narri la sua storia all’interno di una sua storia, un’immagine riflessa in uno specchio che ripete un’immagine riflessa in uno specchio e via così.
Riportando cose belle e meno belle:
“Ognuno individua dolore e gioia dove non li individuano gli altri.”
A volte non distinguiamo chiaramente i piani narrativi, se è la protagonista a parlare o direttamente l’autrice per suo tramite, fatto sta che della sua persona era convinta di non possedere alcunché che destasse un minimo di interesse in chicchessia, figuriamoci di bello.
Si riteneva scialba, brutta, deforme, di discendenza malata e violenta, non meritevole di nessun segno di attenzione, e di affetto, interesse e considerazione sentimentale manco a parlarne.
Nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe pensare, dopotutto è lo stato d’animo comune di tante adolescenti, un pegno da pagare a causa degli usuali turbamenti emotivi dell’età, del tutto normali per chiunque tranne che per le dirette interessate; ma tant’è, la protagonista di tale assioma ne ha fatto un caposaldo, vorrebbe essere tutt’altro e tutt’altra, magari una ragazzina rapita e nascosta da qualcuno sottoterra, con tutti a cercarla freneticamente per dipanare il mistero della sua scomparsa, come accaduto per davvero per un’altra ragazzina sua coetanea protagonista suo malgrado delle cronache nere dell’epoca.
Insomma, un resoconto: un racconto intenso di fragilità, debolezze, scarsa considerazione di sé, compromessi, rinunce, dolori, paure.
Ma appunto un resoconto, un elenco e non una resa: non una capitolazione, una rinuncia alla propria identità femminile.
Gli anni passano, e il tempo fa giustizia, o almeno dovrebbe.
Tutto quanto le era apparso bello un tempo, ora però da donna adulta ha motivo di riconsiderarlo nel suo evolversi e perciò nella sua interezza, e questo la riconduce, in sintesi, ad un’unica essenza concreta, quella che è, non quella che sembra, bella o brutta che sia, semplicemente la sua.
Una realtà la sua che è, non che sembra, quella di non essersi mai pienamente accettata, proprio perché fermatasi alle apparenze, giunta tardi alla maturità decisionale di sentirsi realizzata, compiuta per quello che è, che ha fatto, le scelte che ha intrapreso, le sole cose che rivestono un valore concreto, qualunque possa essere la loro valenza o il segno di saldo.
Semplicemente questa è la verità, una amica intima della sua gioventù gliela rimanda come uno specchio, la costringe a non insistere a negarsi, a negare la propria identità confondendosi ancora con quanto desiderava essere, o che riteneva idoneo a valorizzarla come persona.
Lo fa portando con sé la sorella, come esempio vivente, la prova provata.
La sorella di Federica, Livia, che un tempo era per lei, per la sorella e per tutto il codazzo delle amiche, quasi le dame di corte, il soggetto guida di come bisogna essere, il mito da ammirare, e allo stesso tempo la cima irraggiungibile a cui mai e poi avrebbero potuto ambire, non avendone i mezzi estetici, l’etica era ancora una nebulosa lontana per i loro orizzonti.
Senza poter comprendere, non possedendo i giusti strumenti di valutazione, che non è tutto oro quello che luccica, che la luce sfavillante è tale perché le ombre le sono situate dietro, e non è detto che posseggano tonalità lievi, le nuvole non sono solo bianche o grigie, possono essere nere.
Livia lo riconferma, a distanza di anni, ripresentatasi com’è ora, a causa di un disgraziato incidente, bellissima come allora ma ora cristallizzata, una farfalla stupenda ma intrappolata per sempre nel bozzolo di crisalide, una bellezza con la mente di una giovanissima.
Con le ali danneggiate, senza che nessuno ne fosse consapevole.
Come a dire appunto, sembrava bellezza, non lo era e non lo è. E si soffre per lei, e per noi in lei:
“…Esiste un momento nella perdita di una persona amata in cui si piange se stessi. Per noi perduti con lei.”
La giovinezza è un’epoca delicata e deliziosa, e però vi abbondano i cristalli, su cui puoi vederti distorta, addirittura ferirti, occorrono mani forti e gentili che ti educhino e ti spieghino che proprio per questi frammenti cristallini la tua immagine ti appare dispersa, poi crescendo il quadro si ricomporrà con esattezza, con armonia e simmetria, ricostruendo fedelmente una ed una sola figura, la tua, bellissima perché unica, anche senza capelli biondi e occhi azzurri, anche con distonie o sproporzioni, per esempio un seno più piccolo dell’altro, anzi, forse proprio quel particolare, quel tratto ti conferisce un valore inimitabile.
Le esteriorità, le apparenze sono superfici che lasciano il tempo che trovano, sono solide e non ti permettono di andare oltre, rimandano i riflessi ma non godono di luce propria, le parvenze, le sembianze, i bei capelli e le gambe lunghe sono arie, sono aspetti, sono in fondo solo spirito, semplice apparenza, sembrava bellezza e non lo è.
E se lo è, ha un prezzo spaventoso, esorbitante, fuori mercato, nessuno sano di mente farebbe a cambio. Il tutto scritto a scatti, con frasi, righe, periodi che sono graffi, l’autrice non le manda a dire, è il suo stile, forse scaltramente freddo, ma abile, disincantato, anche rude, e però efficace ed esaustivo. Questo bel romanzo, ben scritto e che merita più di una lettura, delineato in prima persona, più un narrato di pensieri che si fanno voce anziché dialoghi, altro non è quindi che un resoconto preciso di una donna che sa scrivere di donne, in qualsiasi ruolo le connota, per prima in quello di madre, poi di figlia adolescente, quella che si è stati e quella messa al mondo e che si ha per figlia. Esattamente come sono e cosa ha significato per loro esserlo.
Prosegue il narrato con altre figure tutte al femminile, tutto il libro è vergato al femminile plurale, seguono altri volti oltre quelli dell’ amica d’infanzia e della sorella dell’amica, che di quell’infanzia e di quella gioventù era il mito da seguire ed ammirare.
Sopra le altre, la donna che narra e si racconta, una donna arrivata, finalmente, all’optimum della sua generazione e nel suo lavoro, tanto crudele quanto creativo, quello di scrittrice, e quindi di inventore di storie belle. Necessariamente belle, perché siano lette in modo da ammaliare il lettore: già questo rappresenta il paradosso cardine del romanzo, non è bello in realtà quanto si pensa sia bello, il bello appare tale solo a chi piace, non a chi se lo fa piacere.
Ed ancora, la Ciabatti ci offre altre linee, altre silhouette, altre figure sbiadite di donne, e donne lontane dai miti della bellezza perché anziane, nonne, bisnonne, dotate di una certa ruvidità e violenza nel porgersi, vittime a loro volta di pari violenza e durezza, niente adorabili vecchiette dai capelli candidi, e che però sanno farsi valere, e seguitare a vivere malgrado orrori portategli addirittura da consanguinei, in questo sta la loro perenne bellezza, quella vera.
Tanto sono donne toste per quanto anziane che nemmeno necessitano di badanti, anzi spesso è una giovane a fungere da badante, lo è Federica per esempio, condannatasi in quel ruolo da un legame di parentela pesante come una catena, dissimulato per apparente convenienza da presunto amore fraterno. Perché in fin dei conti questo è libro di emozioni, sensazioni tumultuose che si rincorrono su vari piani non solo temporali, sono le esperienze del crescere in comune, è un romanzo sull’impietoso trascorrere del tempo, che si ripercuote sulle varie forme che assume l’universo femminile, madri, figlie, amiche, professioniste affermatesi con un gran senso di rivalsa, fallite negli affetti e con figlie adolescenti con cui si fatica a relazionarsi, e poi tutto l’intreccio del vissuto che intercorrono tra le stesse, che poi è un mutuo soccorso a riconsiderare se stesse nei diversi ruoli.
Un romanzo ricchissimo e potente, un’elegia della bellezza femminile, ma di quella vera, il brogliaccio dell’intimo femminile che anche se non vergato in bella calligrafia, soprattutto allora, con cancellature, sovrascritture, annotazioni ai margini, appare per quello che è, una vera bellezza.
Che non sembra, è.
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Io l'avevo un po' accantonata. Tu parli di "romanzo ricchissimo e potente" ; significa che invece ha qualcosa da dire.