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Le “Occasioni” di Susanna
“Alla fine siamo fatti di ingredienti semplici. Ossigeno, carbonio, idrogeno, azoto, calcio, fosforo, sodio, magnesio, ferro, alluminio - tutta roba riciclabile.
Siamo questo. Siamo il mucchio ambulante di tutto questo”.
Un libro breve, fatto di piccoli paragrafi, come piccole macchie impressioniste che compongono il tessuto narrativo. Flusso di coscienza che salta, come sempre, dal presente al passato, due fili temporali che si intrecciano magnificamente sotto l’egida di un binario stilistico che sapientemente passa da un linguaggio lirico ad uno più colloquiale e prosastico.
“Ottobre lo acchiappo, capita di sera ma non sempre, a volte ci riesco. Mi viene facile su quelle strade tra campagna e cemento, quando si sente ancora frinire qualche grillo tra i ciuffi del guardrail, viene facile e lo acchiappo”.
Susanna sa trovare piccole “occasioni”(mi verrebbe da dire “montaliane”) di vita autentica, piccole sorprese che sanno meravigliare la bambina che è in lei (una pascoliana “fanciullina” , con tutte le distanze da prendere del caso?): lei una non mamma.
Una donna non è per forza una mamma, ma lo status di madre, nella società dei nostri tempi è ancora pregnante e qualificante. È come se Susanna vivesse in una specie di limbo sospeso tra la realtà e la fantasia, tra il mondo “normale” di una donna con una vita sentimentale appagante e un lavoro che la rendono felice e un altro mondo, fantastico nascosto dietro le piccole cose, luoghi che non tutti riescono a vedere, presi dal caos della vita quotidiana, un mondo senza bambini, ma dove la bambina è lei.
“…da non mamma sono facilitata, non ho nessuno davanti e nessuno alle mie spalle. (…) Vedi come sto in piedi bene, vedi che non cado anche se il mondo si capovolge e mi fa girare la testa?”.
Una non mamma è una donna libera, “sono mia figlia e mia madre. (…) mi educo e mi vizio” e se ne va “a zonzo cercando un atomo di serenità”.
E questi atomi costellano tutto il libro, scritti in uno stile che ho trovato toccante, anche per i continui contrasti tra immagini liriche e prosaiche. La stessa ambientazione agli occhi si lei si rivela come luogo magico: Roma è sospesa e senza tempo, ma a volte il sogno e l’incanto si spezzano, rotti da qualche battuta dialettale, ma è giusto un attimo, l’epifania è dietro il nuovo angolo, laggiù sopra l’asfalto bollente, tra i versi delle cicale nascoste tra i piccoli punti di verde.
“L’estate a Roma è un pezzetto di cuore spezzato, è un pranzo di ferragosto, è un guarda che bella che è. All’angolo del parcheggio il ramo fronzuto, vigoroso nonostante la capitozzatura, offre la sua ombra rinata. Fremono le acacie dai grappoli cremosi e il ciuffo di papiri che non conoscono il Nilo. (…) Nella Roma che odora di catrame e di fiume, papaveri led si accendono tra le fratture del muretto ad indicarmi l’uscita”.
Eppure in tutto questo, la felicità non è completa, ho ravvisato tra le pagine la mancanza di quel bambino che lei ha perso prematuramente, nel wc dell’ufficio. Questa assenza riempie i suoi sogni di presenze: eccola ora è una bambina che si fa asciugare dopo aver giocato in mare, ora è sulla piccola bici rosa, ora è un bambino, Lorenzo, il vicino di ombrellone, bloccato in un fermo immagine mentre gioca a fare castelli d’acqua in riva al mare.
Bellissima lettura.
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