Dettagli Recensione
Partite e ritornate
Questo romanzo è un sequel, per la precisione è il seguito del fortunato: “L’arminuta”, che ha portato successo e notorietà piena, e direi ben meritati, alla sua autrice Donatella di Pietrantonio.
Come capita per tutti i sequel, il racconto successivo non riesce mai bene come quello che lo ha preceduto, non perché non meriti, non è questo il caso, “Borgo sud” è parimenti incisivo come l’”Arminuta”, ma apparentemente non soddisfa completamente il lettore.
E se è vero, come è vero, è per motivi diversi, non per differente qualità.
Perché stavolta la storia è diversa, ed il lettore inconsciamente vuole il “già visto”.
Ed a torto; questa è una buona storia, forse d’impatto emotivo minore, sorprende di meno, ma è un racconto più tosto, più maturo, articolato, con una attenta rifinitura nei particolari, dettata dalla precedente esperienza di scrittura, già essenziale di per sé, asciutta e concisa, che qui vede con maggiore enfasi una mano che lima, toglie, carteggia con foglio abrasivo a grana fine, infine restituisce un elaborato tanto avvincente quanto sintetico.
È la scrittura in sé il valore aggiunto, è il come è scritto che rende proprio per questo ancora più bello e struggente un racconto che lo è già di suo, per trama ed intenzioni.
“Borgo Sud” non ha per protagonista stavolta chi parte e ritorna, ma il posto; l’arminuta qui fa i conti non con chi l’ha ceduta e da chi poi è ritornata, ma con il luogo, l’origine, non la culla, ma la terra, la terra vera, con i suoi solchi, le sue zolle, , le sue radici profonde, la sua roccia.
Stavolta la Di Pietrantonio non ci parla del rapporto tra genitori e figli, propri o acquisiti.
Non accenna ad una figura senza nome indicata solo come un ritorno, una ritornata, una restituita soddisfatta e rimborsata, sballottata da una famiglia all’altra, da una vita ad un’altra, radicalmente diverse l’uno dall’altra.
Ci parla invece di un altro rapporto, che prepotentemente “ritorna” nella vita della protagonista, quello tra fratelli, o meglio tra sorelle.
“…Abbiamo litigato a parole aspre, ma anche come bambine, a spinte e strattoni. Adriana sapeva riportarmi indietro, a tutto quello che avevo voluto lasciare...”
Una storia della stessa durezza e magnificenza, letteralmente permeata, avente la stessa scorza della terra d’Abbruzzo, il luogo vero protagonista, il personaggio principe ed ambivalente, reso a perfezione nei suoi due aspetti precipui.
Un modo di essere da borgo, come da titolo che rimanda ad un quartiere periferico di Pescara, che però contiene sia una ruspante scontrosità d’essere tipica di un microcosmo, sia allo stesso tempo la drammaticità delle più grandi e moderne città, discordanti, prosperose ma aride d’affetti ad un tempo.
Questo doppio, questa ambivalenza, questo uno di fronte all’altro senza interferenze, direttamente, sempre e comunque nel bene e nel male, permea atmosfere, dialoghi, modalità d’essere e di mostrarsi, si conserva anche in luoghi lontani da questa terra, comunque ambedue i libri riguardano un rapporto binario, madre/figlia nel primo racconto, e sorella/sorella in questo più recente.
Nel primo romanzo la protagonista era una “ritornata”, vale a dire una bimba, e poi ragazza, partita, o meglio ceduta da una famiglia povera ad una coppia benestante ma sterile, e poi ritornata coattivamente all’origine, con tutto quanto di sconcertante e di doloroso che ne deriva, sia dal trauma del doppio abbandono, prima e dopo, sia dall’incontro/confronto/scontro tra le due mamme, le due diverse famiglie, differenti condizioni non solo economiche ma anche logistiche con la quale colei che ritorna deve confrontarsi.
In “Borgo sud” questo dualismo del racconto globale si estrinseca in due luoghi diversi e lontanissimi tra loro, Grenoble e Pescara, l’università tempio della cultura e del pensiero civile e positivo ed il quartiere dei pescatori, talora disperato e disperante, rozzo ed aspro, stili di vita diversissimi ma ognuno a suo modo estrinseca una propria crudeltà d’essere.
Perché questo è un romanzo breve, ma è un racconto cattivo, è una storia di durezza e di meschinerie, che il linguaggio altrettanto rude quanto leale rende al meglio, è al tempo stesso l’apoteosi dell’amore della famiglia, della sua importanza, della sua essenzialità per il corretto crescere ed evolversi dell’affettività di ciascuno, quando è pieno, maturo, costruttivo, mancando il quale, e con quelle caratteristiche per quanto forti e marcate, tutto si riduce a giri a vuoto su sé stessi invece che a proficui ritorni, poiché un ritorno infine altro non è che un nuovo inizio, una nuova partenza, più spesso felice.
L’amore valorizza il borgo, qualunque borgo; l’amore della famiglia allora è il borgo natale, quello che rincuora, e restituisce vigore.
I vincoli di sangue, di terra, di appartenenza, in una parola sola, i vincoli di famiglia, sono l’unico amore fatto di tenerezza e antipatie, di premure e rigidità, di affetto e rigore, di delicatezza e scontri cruenti, che sono i primi, e perciò quelli che ti segnano da subito, in particolare, per sempre.
Speciale tra tutti, sono i legami tra sorelle: insieme, quando unite, diventano quasi invincibili, dormono insieme, si confidano, rilevano incongruenze e discrepanze che l’altra non vede o non riesce a vedere nella propria vita, anche in quella del proprio partner, ognuna di lei a tempo debito, quasi a turno, si prende cura dell’altra, corre dall’altra e dall’altra ritorna per lenirle le ferite, che spesso, se non sempre, coincidono, lasciando cicatrici uguali. Sperando di non arrivare tardi, perché:
“Il ricordo è una forma di recriminazione. È il perdono che non trovo.”.
Credo che alla maggioranza dei lettori, forse anche della critica, infine, resterà maggiormente impresso l’”Arminuta”, non me ne meraviglierei, e forse con ragione.
Tuttavia “Borgo Sud” splende di luce propria, ed è una buona luce, solo che più che faro o fascio diretto, è una luce di chiaroscuri, con un proprio fascino, crea una bell’atmosfera diffusa, ma certamente è diversa. Come è diversa ogni famiglia: è composta da persone, ognuna a suo modo, ma legati tenacemente tra loro da qualcosa d’altro oltre lo stesso borgo natio.
Specialmente in Abruzzo.