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I limiti etici del progresso scientifico
L’ultimo romanzo scritto dal grande autore siciliano, scomparso nel marzo di quest’anno, ha il sapore di un testamento, un messaggio forte, vibrante, a futura memoria, con cui lui, che era medico, mette sull’avviso l’umanità sui limiti etici del progresso scientifico.
Se con La divina foresta aveva immaginato, in una versione del tutto fantastica, ma non elusiva della realtà, la creazione della vita, con L’incredibile storia di un cranio ci parla della sua fine, e lo fa in prima persona, perché la voce narrante è la sua, quasi a voler rafforzare il concetto che l’elemento fantasioso, esposto da un uomo di scienza, ha una concreta radice di realtà.
Per certi aspetti Bonaviri potrebbe essere accostato a Orwell, con la stessa visione di un futuro distopico, ma al punto tale da portare alla distruzione dell’umanità. Al di là di questa caratteristica, le differenze esistono e sono più marcate, perché la narrazione dell’autore siciliano è impreziosita da una vena poetica che riesce ad andare oltre le consuete strutture dei romanzi, con ritmi, armonie e immagini che conferiscono alle opere una grazia del tutto particolare che a tratti presenta tempi quasi musicali.
Tanto per dare un’idea, il libro inizia in un’atmosfera lucreziana, in un’idilliaca natura, in cui la flora e la fauna, in quest’ultima compreso l’uomo, sembrano vivere in un’armonia perfetta, in un equilibrio tale da ristorare l’animo, perché il creato, frutto di un caos che ai nostri superficiali occhi può apparire imperfetto, è invece quanto di più attentamente realizzato ci sia dato di conoscere. Purtroppo l’essere umano è l’elemento disgregatore, colui che, grazie a un’imparziale conoscenza, crede di sapere tutto o quasi e di poter fare tutto o quasi.
Così nella società descritta da Bonaviri, caratterizzata dall’invecchiamento della popolazione, che aumenta oltre ogni limite il ricorso alle risorse, si provvede temporaneamente a un’eutanasia attiva, sopprimendo gli anziani, in quanto non più utili al sistema, ma al tempo stesso si ricerca, si sperimenta, si elabora per arrivare, tramite clonazioni, a una nuova specie di esseri umani, in parte vegetali, con la funzione specifica di addormentare le passioni eccessive degli altri uomini, intorpidire i sentimenti, anche quelli negativi, provocando un generale appiattimento della qualità della vita. Senza più emozioni, senza più ispirazioni creative l’umanità rallenterebbe anche la sua crescita, avrebbe minori appetiti, finirebbe con il vivere in una condizione di inconscia felicità, in pratica si ridurrebbe a uno stato vegetativo.
Pur nella vicenda fantastica, il messaggio di Bonaviri è chiaro: può l’uomo, con la sua scienza, andare oltre la natura? E se lo fa, quali saranno le conseguenze?
Le risposte sono nel finale del romanzo, apocalittico, con le acque dell’Egeo che penetrano all’interno del pianeta. In quel mare, citato non a caso, che aveva visto il volo avventuroso di Icaro e a Creta il mito del Minotauro, essere metà uomo e metà bestia, dove era iniziato il desiderio dell’umanità di conoscere i propri limiti e di superarli, tutto finisce, perché l’homo sapiens non può e non deve spezzare il perfetto equilibrio della natura, che altrimenti si vendica.
E da quella specie di rivolta del globo terracqueo, con gli oceani che penetrano all’interno della crosta per arrivare fino al nucleo, determinando una reazione disgregatrice per le diverse temperature, seguirà l’esplosione del nostro pianeta che ne cancellerà la presenza nell’universo.
L’incredibile storia di un cranio finisce con il diventare così la credibile storia di un’umanità che volle elevarsi su tutto e che si illuse che per essa nulla fosse impossibile.
La lettura è certamente più che raccomandabile.