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I nostri legami imperfetti
Jacopo ha trentun anni, lavora ai servizi sociali del Comune ed ha una voragine al posto della vita sentimentale. La situazione peggiora quando sua madre viene ricoverata in una clinica dopo essere stata trovata a vagare in stato confusionale vestita da sposa. La degenerazione del suo sistema nervoso rende necessaria una degenza in quella clinica per persone non più autosufficienti.
Il racconto di Jacopo quindi si dispiega alternando piani temporali del passato, in cui si rievocano suoi episodi dell’infanzia e dell’adolescenza, a momenti del suo presente. Dal passato di Jacopo emergono ricordi impressi di densa malinconia: una famiglia mancata, la quotidianità vissuta in un quartiere degradato di Napoli, il Rione delle mosche, occupando un appartamento in modo abusivo, le prime fallimentari esperienze amorose. Su tutto questo mare di solitudine e tristezza affiora, come una barca sulla superficie dell’acqua, la figura carismatica e problematica della madre: una donna bellissima e profondamente legata al figlio, ma anche una persona estremamente complicata, con serie difficoltà a mantenere relazioni stabili e mature, probabilmente già segnata dalla malattia dell’Alzheimer.
Nel presente Jacopo ha un’occupazione stabile, ha sensibilmente migliorato la sua condizione sociale, ma continua a vivere un’esistenza segnata da un inquieto sconforto, caratterizzata da relazioni superficiali ed inappaganti.
Un romanzo profondamente malinconico ed intimistico, in grado di scavare sotto la superficie degli avvenimenti per proporre una riflessione su questi nostri legami imperfetti, su queste nostre famiglie disfunzionali, sulla profonda frustrazione e infelicità che permea così tante delle nostre esistenze e relazioni. Mi ha ricordato, per certi aspetti, lo stile di Lorenzo Marone degli esordi, con la narrazione di storie di personaggi solitari che cercano di afferrare un contatto con il prossimo. Ho letto molti commenti su questo romanzo che ne denotano l’ironia; la stessa fascetta riporta una frase di Viola Ardone che dice: “Un racconto di graffiante bellezza e di spietata ironia”. Devo ammettere che io non sono riuscita a cogliere l’ironia di questo testo; se pure c’è in alcuni passaggi, mi è sembrata particolarmente amara.
Ho percepito invece una profonda tristezza che emerge dalle pagine, sostenuta da una scrittura trasparente e diretta.
In conclusione, un romanzo in grado di suscitare nel lettore una certa empatia verso il protagonista e un discreto coinvolgimento nei confronti della narrazione, nel complesso una lettura piacevole e di buona qualità letteraria.