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La scomparsa di Majorana
 
La scomparsa di Majorana 2021-03-28 13:57:54 Calderoni
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4.5
Stile 
 
5.0
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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    28 Marzo, 2021
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La forza rivelatrice della letteratura

Leonardo Sciascia ricostruisce letterariamente la celebre scomparsa nel nulla di Ettore Majorana. Ne esce un romanzo breve o racconto lungo bellissimo, che fa emergere in modo chiaro e incisivo la forza liberatrice della letteratura. Il principio della struttura narrativa di Sciascia è determinato dall’intenzione di presentare, in una composizione dal carattere di documentario, all’apparenza un’impartecipe raccolta di materiale, di fatti e la loro successione nella nudità di un rapporto. Ma l’opera dello scrittore di Racalmuto non si limita a questo. Riesce, infatti, ad indagare nel profondo la complessa figura di Majorana, fisico originario di Catania. Viene definito un genio precoce e come tutti i geni precoci Sciascia ammonisce che «appena toccata, nell’opera, una compiutezza, una perfezione; appena svelato compiutamente un segreto, appena data perfetta forma, e cioè rivelazione, a un mistero… appena dopo è la morte». In ogni cosa che scopre, in ogni cosa rivela, sente avvicinarsi la morte e non è un caso, dunque, che Majorana cestinò un pacchetto di sigarette al di sopra del quale aveva scritto calcoli e teorie sul nucleo fatto di protoni e neutroni. Calcoli e teorie che da lì a pochi mesi sarebbero stati pubblicati da Heisenberg, che, secondo Sciascia per Majorana, rappresentò «un amico sconosciuto: uno che senza saperlo, senza conoscerlo, l’ha salvato da un pericolo, gli ha come evitato un sacrificio». Nel romanzo le diatribe e le invidie accademiche degli anni Trenta, ancora così attuali a quasi cento anni di distanza, sono ben fotografate. Le differenze che intercorrono tra Enrico Fermi e il suo seguito ed Ettore Majorana sono ampiamente rimarcate da Sciascia. Per Fermi il suo illustre collega è un genio, come ce ne sono stati pochi nel corso della storia della scienza (cita Galileo Galilei e Newton, non menziona Einstein), ma è anche una personalità strana da decifrare, soprattutto per il suo carattere solitario. Sulla solitudine di Majorana Sciascia insiste parecchio, anche per avvalorare quella che è la sua ipotesi: lo scrittore rifiuta il suicidio del fisico (e prova a dimostrarlo, ponendo l’accento su alcuni aspetti, a partire dalla grafia delle due lettere lasciate da Majorana nel giorno della sua scomparsa), mentre è propenso a pensare che si sia chiuso in un convento, una scelta che esprime il malessere esistenziale, l’insicurezza, l’ansia profonda, la perduta fede nel mondo. Perché si è verificato tutto ciò nell’anima inquieta di Majorana? Secondo Sciascia perché aveva visto davanti ai propri occhi già a metà anni Trenta la bomba atomica, rimanendo, spaventato, terribilmente spaventato, da quella manciata di atomi. Tra l’altro nel 1921, parlando delle ricerche atomiche di Rutherford, un fisico tedesco aveva avvertito: «Viviamo su un’isola di fulmicotone», ma aggiungeva che, grazie a Dio, ancora non avevano trovato il fiammifero per accenderla. Per Sciascia, il grande genio di Majorana aveva capito che il fiammifero c’era già e se n’è allontanato con sgomento e terrore, poiché osservava che nel mondo era venuto meno il buon senso. La lunga riflessione di Sciascia sulla bomba atomica tocca una vetta elevata in una nota del quinto capitolo, dove paragona la struttura organizzativa del «Manhattan Project» ad un luogo di segregazione e di schiavitù, in analogia ai campi di annientamento hitleriani, perché «quando si maneggia, anche se destinata ad altri, la morte, si è dalla parte della morte e nella morte». A tal proposito lo scrittore cerca di dare merito a Heisenberg, che, a differenza di molti altri colleghi dei suoi stessi anni, nel campo della fisica nucleare non solo non ha avviato il progetto della bomba atomica ma ha anzi vissuto gli anni della guerra nella dolorosa apprensione che gli altri, dall’altra parte, stessero per realizzarla. E proprio Heisenberg accolse Majorana a Lipsia per un certo periodo, tenendo notevoli disquisizioni sulla fisica con il giovane italiano che lo aveva anticipato, come detto, senza prendersi i meriti, riguardo al nucleo fatto di protoni e neutroni. Nel ripercorre la storia di Majorana, Sciascia inserisce anche il «caso Majorana», che per otto lunghi anni annientò fino alla follia la famiglia di Ettore e nello specifico il fratello Dante con la moglie Sara. Furono ingiustamente accusati di aver bruciato nella culla il bambino di Antonino Amato, fratello di Sara. Sciascia ci mostra, pertanto, uno spaccato di quella Italia, di quella Sicilia. Non manca d’altronde la Sicilia in questo romanzo breve del 1975. Lo stesso Sciascia accosta la volontà di nascondersi, di fuggire dal mondo, di Majorana a Vitangelo Moscarda, il protagonista di Uno, nessuno, centomila di Luigi Pirandello, assoluto punto di riferimento dello scrittore di Racalmuto. La costruzione letteraria di Sciascia, dunque, è compiuta: la scomparsa di Majorana non è risolta, ma il ragionevole dubbio è ormai dentro di noi.

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Commenti

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Condivido pienamente il tuo apprezzamento, Andrea. Forse è il mio libro preferito tra quelli letti di Sciascia. Una scrittura lieve, senza alcuna caduta, mai dispersiva. Grande stile.
In risposta ad un precedente commento
Calderoni
22 Aprile, 2021
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Vero, grandissimo stile e riflessioni non da poco Emilio. Ho preferito questo Sciascia a quello de Il giorno della civetta dal punto di vista stilistico.
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