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Una sedia vuota
Diretto, crudo, disturbante. Eppure ogni pagina chiede la successiva, fino alla fine. E alla fine la storia resta per ciò cui essa dà voce: l'ambivalenza dell'animo umano, le sue più intime contraddizioni, il suo essere amore e disamore (verso sé, verso l'altro), bianco e pure nero.
"Quando è stato? Tre ore fa, forse anche meno. Tre ore fa ero un uomo uguale a tutti gli altri. Com'è subdolo il dolore, come corre."
Timoteo, un affermato chirurgo, "un uomo che ha imparato a dividere, a separare la parte sana da quella malata" salvando molte vite, ma non la sua, si ritrova di colpo dall'altra parte: è solo, in attesa, in una fredda stanza attigua alla sala operatoria dove sua figlia Angela, appena quindicenne, lotta per non morire a seguito di un grave incidente.
Due sedie vuote attorno a lui. Una sedia vuota dentro di lui.
E il lettore, che inizialmente lo incontra nella sua veste più umana, quella di "un padre qualunque, un povero padre sfondato dal dolore, senza saliva in bocca, sudato e freddo tra i capelli", si accomoda su una di quelle sedie, empatizza con lui, lo segue mentre per il dolore scivola lì dove si trova sua figlia, in quello stesso "limbo di tubi", per raccontarle di una donna.
Italia ritorna. Ritorna il suo ricordo, Timoteo ha bisogno che lei si fermi lì, su quella sedia vuota dentro di lui.
Sedici anni prima, un bar di periferia, il caldo soffocante, un guasto all'auto, il malumore, la vodka che gli restituisce "una testa sgarbata".
Capelli decolorati malamente, viso magro, gambe magre, "non era un corpo desiderabile quello, anzi appariva inospitale".
Il lettore lo ascolta, ma quel racconto a mano a mano diventa disturbante, vorrebbe continuare a stare accanto al padre ma scopre l'uomo, la "sua parte malata" e allora ci sono disgusto e rabbia.
Per Timoteo "È l'emorragia della vita che bussa alle tempie". È la "zoppia dell'anima" che non può curarsi solo con il tempo. È un riannodare i ricordi: la violenza commessa, la vergogna, la repulsione, la reiterazione e poi il bisogno, l'inspiegabilità di quell'amore, "Il corpo può amare ciò che la mente disprezza?".
Italia, una donna docile, una derelitta, un mondo alieno, distante da quello di Timoteo in cui tutto è tanto perfetto quanto vuoto, in cui ogni cosa sembra preordinata, "segno preciso nel grafico che la vita aveva tracciato": la sua professione, i suoi colleghi, i convegni, le vacanze, sua moglie Elsa, sua figlia.
"Il vento trascina lontano tutto ciò che credevo di volere".
Italia, tenerezza e pietà al tempo stesso, essa pure anima guastata dal suo passato, eppure giusto incastro nel disordine dell'anima di Timoteo.
È un rintracciare il coraggio mancato, l'occasione perduta. Italia, il loro bambino.
"Guardami, Italia, siediti su questa sedia vuota che ho dentro, e guardami. Davvero sei venuta a riprendermela?... Taglia quella nuvola, Italia, tagliala come una cicogna. Restituiscimi Angela."
"Non ti muovere" diventa allora la preghiera di un padre che non accetta di veder morire sua figlia, è l'urgenza di una pietà nuova, di un perdono definitivo.