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Quel calore...
«La vita è una nobile vecchia e bizzosa che si compiace dei propri capricci, che regala genitori con una salute di ferro, con la prudenza alla guida scritta nel DNA, e poi…»
E poi un incidente. Uno sciocco incidente che provoca la loro morte, la morte di quei due genitori che lasciano sola Vera, che con i suoi quasi trentasette anni e tanti piccoli passi compiuti ancora non ha imparato a camminare da sola. Anche se ha concluso gli studi, anche se lavora da anni, anche se è andata a vivere da sola. Perché quel padre e quella madre sono sempre stati il suo punto di riferimento, perché quel padre e quella madre ci sono sempre stati anche solo per prepararle una cena o lavarle i panni. E adesso non ci sono più. E come può Vera andare avanti adesso che i suoi super scrupolosi e previdenti genitori sono passati a miglior vita? Come può riuscire a cavarsela da sola? Non può. Ecco perché tra fiumi di lacrime chiede che tornino, li invoca a gran voce e cuore. Ed è al mattino, al risveglio di quella lunga notte insonne tra incubi, speranza e sofferenza che si rende conto che i suoi genitori sono tornati dall’altro mondo per lei. Ma cosa significa? Quanto potranno restare? Quanto ancora potrà godere della loro presenza?
«So vedere. So capire. Ho ideali granitici che si rafforzano ogni volta che ho la lucidità di metterli in discussione. Ho una fiducia ancestrale, illimitata, nelle proprietà curative della scorza di limone bollita. Devo lavora sulla pazienza, su certe sbavature di egoismo, sulla tentazione di stringere tra le dita i petali dei fiori, ma la strada da seguire mi è tutt’altro che ignota.»
Cosa significa davvero averli ritrovati? È così che la figlia vuol godere della loro compagnia? Le può davvero bastare averli ancora accanto quasi come se fossero meramente due automi? Con grande arguzia e con una penna precisa, curata, ironica e ilare, Fabio Bartolomei dona ai suoi lettori un titolo di grande pregio e contenuto che altro non è che il primo di una quadrilogia interamente dedicata ai rapporti tra genitori e figli.
E vi riesce con la precisione minuziosa del chirurgo che va nel profondo, scava e cura. Bartolomei suscita riflessione, scalda il cuore e l’animo, rende concreto il desiderio di chi quei genitori li ha persi ma desidererebbe poterli avere ancora accanto, anche solo per un giorno, rende la narrazione profonda ma anche leggera. Tra risate, lacrime, vita vera. Un piccolo gioiellino.
«Da loro ho imparato che “la frutta non ha più il sapore di una volta” è un’affermazione incompatibile con l’acquisto delle fragole a gennaio, e che il vero obiettivo non è non avere paura di niente ma andare avanti con caparbietà anche quando si ha paura di ogni singola cosa. […] Ora che la testa è solo su questa lasagna scopro quanto sentimento si possa mettere in una farcitura e quante ferite si possano curare allineando con premura le sfoglie di pasta. Mamma e papà annuiscono a ogni manovra, sorpresi da questa figlia che non ne aveva mai voluto sapere di imparare le ricette di famiglia e che invece, suo malgrado, aveva visto, capito e scolpito nella mente. […] Davanti a me ho due sedie vuote. Abbandonate. Lo sguardo, chissà, forse nella speranza di cogliere uno scampolo di ascensione tra il lampadario a forma di scolapasta e il soffitto un po’ ingiallito negli angoli. Ammutolita lo riporto sulle sedie, su questo vuoto, mentre l’odore che sale dal forno ammansisce a folate la tensione delle mie narici, e poi delle palpebre e delle labbra, mentre mi sento abbracciata da quel bel calore. Di lasagna cotta a puntino e di famiglia.»
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