Dettagli Recensione
Stupro doppio: collettivo ed individuale
La ciociara è uno dei romanzi più autobiografici di Alberto Moravia, sebbene il narratore interno, che è insieme protagonista e testimone, sia femminile e popolana. Moravia con la moglie Elsa Morante ha vissuto dal 12 settembre 1943 al 23 maggio 1944 a Sant’Agata presso Fondi per sfuggire dalla guerra. Sono tra l’altro per tutto il centro Italia i nove mesi più cruenti del secondo conflitto mondiale. Anche Cesira, con la giovane figlia Rosetta, abbandonerà Roma e si rifugerà in Ciociaria, la terra natale della protagonista. Si tratta, dunque, del romanzo sulla guerra di Moravia, ma a differenza di molti altri colleghi aspetta parecchi anni prima di completarlo e ciò lo rende differente rispetto a tutti gli altri libri di eguale tematica. È un romanzo meditato perché il tema bellico e l’esperienza umana vissuta in Ciociaria da Moravia meritano molte riflessioni. La Ciociara, alla fine, uscirà nel 1957, ben 12 anni dopo il termine della Seconda guerra mondiale. È la storia delle avventure e delle disavventure di due donne, Cesira e Rosetta. È la descrizione, inoltre, di due atti di violenza, uno collettivo (la guerra combattuta sul suolo italico che si trasformò in un rastrellamento da Sud a Nord) e l’altro individuale (il terribile stupro ai danni di Rosetta, paradossalmente a liberazione avvenuta). Si segue, perciò, il passaggio da uno stato di innocenza e di integrità ad un altro di amara e nuova consapevolezza. Si ragiona sull’esperienza umana di quella violenza profanatoria che è la guerra. Moravia lancia un messaggio che vale per ogni conflitto bellico riferendosi al popolo inerme costituito da donne, giovani ed anziani. L’analisi di Moravia è, dunque, razionale e travalica l’ambito della Seconda guerra mondiale, prendendo come riferimento ogni singolo conflitto in ogni epoca e in ogni latitudine. Oltre alle già citate Cesira e Rosetta, il terzo personaggio cardine della narrazione è l’intellettuale Michele. Andiamo con ordine. La coppia madre-figlia compie un viaggio di rinascita tra le macerie. Subiscono una metamorfosi irreparabile a causa della guerra. Rosetta, descritta nella sua giovinezza dalla madre come una figura pura e quasi santa, è vittima dello stupro da parte di un gruppo di marocchini, aggregati agli Alleati, presso una chiesa abbandonata sotto l’altare della Madonna. Discende negli inferi: perde la vergogna e diventa bestia. A causa di questo atto di inutile crudeltà conosce il sesso e si concede senza più ritegno, in primo luogo a Clorindo che le regala un reggicalze nero; perde ogni freno inibitore e si dichiara muta. Sulla strada del ritorno verso Roma, però, ritrova la parola: canta e piange e ciò restituisce la speranza. È completata la sua formazione, la sua conoscenza di sé. Come Cesira, torna a casa lacerata ma consapevole; non è più una santa, ma non è nemmeno una prostituta. È semplicemente una creatura umana che sa, è più autentica. Cesira evidenzia in ogni passo la propria identità linguistica, culturale e sociale. Il suo punto di vista porta costantemente ad un abbassamento. Questo rende limitata la sua attendibilità, non per malafede ma più che altro per ignoranza. Il suo status di “popolana” fa cadere linguisticamente all’interno del romanzo la distinzione tra scritto e parlato. Addirittura Cesira in alcuni passaggi non soltanto è “popolana” ma è addirittura burina. Cesira nasce nel romanzo quando comprende di essere sposata con un uomo cattivo ed infedele; si è legata a quest’uomo solo per andare a Roma a lavorare in un negozio di alimentari. Morto il marito, non si concede a nessun altro con amore. L’unico rapporto che avrà sarà con il carbonaio Giovanni, ma senza amore. Prova amore solamente per sua figlia, per Rosetta, chiamata a più riprese «figlia mia d’oro». Anche in tale espressione si può scorgere il suo istinto da bottegaia, il suo legame con il denaro e l’alto valore di scambio che Rosetta può possedere, anche se in realtà si trasformerà in una preda gratuita della guerra. Non deve sorprendere, inoltre, che Cesira quando parla di sé si sofferma sul godimento dell’avere piuttosto che sul principio dell’essere. Quando viene intaccato il suo unico amore, Cesira muore nell’assurdità del suo dolore. Riesce, però, ad accettare la verità della guerra e torna insieme alla figlia a camminare sinceramente nell’unica vita che le è riservata. Infine, c’è Michele che è un giovane intellettuale elevato dalle parole di Cesira allo status di autorità paterna. È un intellettuale più maturo rispetto a tanti altri di Moravia. Egli considera la guerra come un’apocalisse che coinvolge tutto e tutti, anche coloro che sono ancora vivi come i contadini e gli sfollati (emblematico il suo diverbio con il padre Filippo che si ritiene un furbo pensando solo alla «roba» e considera il figlio un «fesso» per le sue idee politiche). Michele rappresenta un’alterità maschile, poiché quasi tutti gli altri uomini del romanzo sono connotati dalla violenza, dalla meschinità, dalla distruzione. È anche il simbolo della castità, opposta allo stupro ai danni di Rosetta. Legge a Cesira e agli altri sfollati il passo del vangelo del Lazzaro, dove punta sulla sofferenza umana e prova ad insegnare in primo luogo a Cesira la compassione e l’autentica empatia. E Cesira si ricorderà della lettura avvenuta a Sant’Eufemia (Sant’Agata nella realtà) quando ormai è prossima a rientrare in Roma, a conferma della sua crescita personale.
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Commenti
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Mi prendo l'appunto e la leggerò. Ora ho in programma L'isola di Arturo che non ho mai letto: sono estremamente emozionato nell'affrontare la lettura e quindi sto aspettando il momento giusto.
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La recente doppia biografia "MoranteMoravia" , di Folli, mi ha svelato il forte coinvolgimento 'biografico' di Moravia nei suoi libri . Questo, poi, sicuramente rimanda al periodo 'clandestino' vissuto con la moglie nell'aspro paesaggio rurale del Lazio.