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Il teatro dei sogni
 
Il teatro dei sogni 2021-03-14 16:10:23 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    14 Marzo, 2021
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Il teatro dei sogni corona un sogno d'amore.

Un romanzo originale, divertente, ironico, una narrazione incalzante, senza momenti di pausa: l’occasione da cui parte il tutto è un “antico teatro italico” portato alla luce con fatica e con mezzi primitivi da un archeologo, il marchese Guiscardo Guidarini, nella sua tenuta “La Conca”, situata nel territorio di un paesino di seimila anime, Cosmarate di Sotto e di Sopra. La scoperta, divulgata in una trasmissione televisiva del pomeriggio (“Tutto qui”) da una attivissima e petulante inviata, Veronica Del Muciaro, scatena una feroce rivalità tra il sanguigno sindaco del paese, Massimo Bozzolato, che rivendica la territorialità del reperto, e la giunta del capoluogo, Suverso, che con i suoi centomila e passa abitanti, vuole assolutamente la gestione, con tutti i relativi benefici, della scoperta. La vicesindaca di Suverso, Annalisa Sormani, è in primo piano, e comincia ad intavolare trattative con il proprietario, ne subisce il fascino sottile, suggellato da due casti abbracci, che ne condizioneranno il comportamento per tutto il romanzo.
Si scatena una vera e propria guerra tra le due amministrazioni, l’una, quella del capoluogo, governata da un partito sovranista di destra, l’Unione, filorusso e antieuropeista, l’altra retta da un movimento (“Rivolgimento”) più battagliero e deciso. Si susseguono incontri con esperti, trasmissioni televisive, visite alla tenuta nobiliare: volano minacce e insulti, si comincia già a stilare la programmazione di un futuro ricco di soddisfazioni e di visibilità, si immaginano visite guidate, congressi, raduni di vario genere, manifestazioni popolari… Ma chi la spunterà? Ed ecco entrare in scena i big dei due partiti: il grossolano Nicoletti, capo dell’Unione, in favore di Suverso, con relativo codazzo di leccapiedi, impetuoso e determinato, e gli inviati di Gusmondi, il capo di “Rivolgimento”, per Cosmarate, che si propongono. prima di tutto, di cambiare radicalmente il comportamento troppo bellicoso del sindaco Bozzolato e di modificarne il look (pettinatura e abbigliamento), avvalendosi anche del sostegno di una missione di danarosi cinesi, ingolositi da probabili lauti affari. Lo scontro finale avviene proprio sugli spalti dell’antico teatro italico, allorquando il Bozzolato, benché modificato e sgrezzato, non si trattiene dall’azzuffarsi con il Nicoletti, con tanto di calci, morsi e rotolamenti per terra. Ed è qui che avviene il colpo di scena finale, con una dichiarazione scioccante “coram populo” del marchese (che non rivelerò): tutti se ne vanno scornati, con la coda tra le gambe, il sogno dell’antico teatro finisce e, mentre cala il sipario, Guiscardo Guidarini, in alto, sull’ultimo gradino degli spalti, abbraccia e bacia appassionatamente la sua fedele e speranzosa assistente Agnese, coronando un sogno d’amore durato una vita.
Andrea De Carlo, con il suo stile brillante e arguto, prende spunto dal ritrovamento dell’antico (si fa per dire) teatro italico, per mettere impietosamente a nudo vizi (tanti) e virtù (poche) dei politicanti nostrani. Come un moderno Arlecchino, “castigat ridendo mores” mettendo a nudo inveterati difetti, piccinerie e manie di tanti caporioni locali, evidenziando situazioni grottesche e soprattutto la smania di farsi notare e porre in primo piano i propri meschini interessi, con buffi sotterfugi e ridicoli giochi di potere. Basti citare il surreale programma elettorale di “Rivolgimento”, che promette, fra l’altro , l’indennità di disoccupazione preventiva, il condono di laurea che consente di saltare gli ultimi quattro esami e la tesi, l’abolizione dell’esame teorico per la patente, e amenità simili, e, dall’altra parte, la figura di Nicoletti, capo dell’Unione, che non può non rammentare un ben noto personaggio politico del Nord.
Insomma, un romanzo che diverte e fa riflettere su usi e costumi italici, soprattutto sull’insopprimibile volontà di far prevalere meschini interessi personali sul bene comune. L’Autore, con le sue divagazioni, mi rammenta la famosa frase attribuita a Massimo D’Azeglio nel 1861: “ l’Italia è fatta, ora bisognerebbe fare gli italiani”.


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