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Il mondo si svela in una stanza
Adriana, sua madre, Gino, Astarita, Giacinti, Sonzogno e Giacomo, detto Mino, sono i principali protagonisti del romanzo La romana. È messa in scena la Roma popolare del periodo delle guerre in Abissinia condotte dal governo fascista. Il tema politico entra in gioco molto tardi nell’intreccio narrativo. A portarlo sotto i riflettori è Mino, studente universitario, nato da un’agiata famiglia che possiede diversi terreni in campagna. È un attivista e agisce contro il regime. È il Pablo de Il compagno di Cesare Pavese ma con una complessità psicologica ben più profonda. Si fatica ad entrare in sintonia con Mino, ragazzo acculturato che non riesce a vivere e verrà schiacciato dal senso del tradimento. La sua anima risulta ancor più irrequieta se paragonata a quella di Adriana, colei la quale ci narra le sue vicissitudini durante una fetta di vita fondamentale per ciascun essere vivente, ovvero il passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta. Adriana è innamorata di Mino e prova per lui un amore sincero e non puramente carnale. Adriana, però, ha una psicologia estremamente semplice e lo dimostra costantemente, a partire dalla decisione di diventare una prostituta. Una scelta presa squisitamente per questioni di denaro che poi verrà accettata con passione dalla protagonista, che scoprirà di amare come poche altre cose il sesso. Si concede sfruttando la sua bellezza in grado di catturare l’attenzione, ma quando riceve un rifiuto, la prima sera con Mino, entra in crisi. Pensa che Mino la disprezzi per quello che fa ed Adriana perde addirittura il gusto della vita. Il tutto, però, dura poche pagine e si risolve con la preghiera. «Poi un giorno uscii con la mamma e per caso entrai in chiesa e lì, pregando, mi sembrò di capire che in fondo non avevo di che vergognarmi, che se ero fatta a quel modo era segno che Dio l’aveva voluto, che non dovevo ribellarmi alla mia sorte, ma, anzi, accettarla con docilità e con fiducia e che se tu provavi disprezzo per me, la colpa era tua e non mia»: così si esprime Adriana sul finire del romanzo rivolgendosi ad un afflitto Mino, disintegrato dentro per il suo tradimento. In queste parole c’è la differenza abissale che intercorre tra l’uno e l’altra. L’accettazione della vita di chi ammette la propria ignoranza opposta all’incapacità di chi al mondo non riesce a stare. «Avevo capito che la mia forza non era di desiderare di essere quello che non ero, ma di accettare quello che ero. La mia forza erano la povertà, il mio mestiere, la mamma, la mia brutta casa, i miei vestiti modesti, le mie umili origini, le mie disgrazie e, più intimamente, quel sentimento che mi faceva accettare tutte queste cose e che era profondamente riposto nel mio animo come una pietra preziosa dentro la terra» dice Adriana di sé all’inizio del capitolo terzo della seconda parte. La romana è il romanzo della sconfitta della figura maschile nella società degli anni Trenta. Adriana non ha il padre, già morto, e incontra sulla propria strada svariati uomini, ognuno dei quali però dimostra atavici limiti nella convivenza con gli altri. La falsità e il doppio gioco di Gino, che interrompono definitivamente l’adolescenza di Adriana, l’avidità di Giacinti, la personalità perversa di Astarita, la crudeltà bruta di Sonzogno. La sconfitta della figura maschile è sancita in ultima istanza dall’uscita di scena di Mino e dall’impossibilità per Adriana di costruire quella famiglia che sognava fin da ragazza, quando passeggiava per Roma con la madre. Ha tentato di costruirla con Gino e con Mino, in entrambi i casi è andata male. Ancora una volta, in Moravia la chiave grazie alla quale indagare nel profondo la realtà è il sesso. È proprio il rapporto fisico tra uomo e donna a muovere i fili dell’intreccio. A spingere verso la prostituzione Adriana è in primo luogo la madre, che nella catena della semplicità psicologica precede, e di parecchio, la figlia. Scompare gradualmente nel corso della narrazione, ma è l’ultimo appiglio al quale si stringe Adriana quando tutto va a rotoli. È emblematico, però, come parli di questo abbraccio finale la stessa protagonista: «Andai a casa, e questa volta, mi gettai tra le braccia della mamma, ma senza piangere. Sapevo che era stupida e che non capiva niente, ma era pur sempre la sola persona a cui potessi confidarmi… La mamma, dopo avere tentato di consolarmi con una quantità di frasi schiocche seppure sincere, disse che non dovevo precipitare nulla». Un appunto sul linguaggio. È molto differente rispetto a quello de La Ciociara. È un linguaggio andante, più comune che popolare ed è accostabile ad un ipotetico standard, sebbene il narratore, proprio come ne La Ciociara, sia interno e la voce sia femminile. Tuttavia, in questo caso il narratore, come detto, è la giovane Adriana, mentre nel romanzo del 1957 è Cesira, madre di Rosetta. Adriana, poi, a differenza di Cesira, alcune volte “si ritira”, lasciando spazio ai personaggi del dialogo e fa molte annotazioni sui modi di parlare altrui. La sua testimonianza, inoltre, appare raccontata molto tempo dopo rispetto ai fatti narrati. Un ultimo aspetto che dal punto di vista linguistico va rimarcato è il seguente: Adriana si prostituisce ma non dice mai parolacce, Cesira invece non ama l’amore fisico ma impreca molto spesso. Infine, un’annotazione sulle descrizioni. Dominano quelle degli interni. Le stanze riflettono il più delle volte lo stato d’animo di Adriana e non casuale è la scelta di Moravia di ripetere più volte la conformazione della camera da letto arredata a proprie spese da Adriana. È il luogo in cui il mondo si svela ad Adriana ed è un mondo crudo e ricco di insoddisfazione, nel quale l’unica speranza è riposta in quel nascituro nel grembo della protagonista.