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Come nasce l’impegno nella classe proletaria
Spigoloso. Penso che sia l’aggettivo migliore per descrivere lo stile utilizzato da Cesare Pavese nel romanzo Il compagno, uscito nel 1947. La sintassi è franta, i dialoghi (dominanti dalla prima all’ultima pagina) sono frammentati e la lettura risulta molto complicata. In parecchi passaggi si vorrebbe scoprire di più di quanto viene detto. Si vorrebbe capire meglio come è andata una vicenda o come si comporta un personaggio, invece l’autore tronca il capitolo o l’episodio. Non è il capolavoro di Pavese, ma è un libro che va letto per conoscere tutte le facce della sperimentazione di Pavese. L’autore riesce a trasportare il lettore in due realtà cittadine differenti: nella prima parte Torino, nella seconda Roma (anche Pavese ha seguito la stessa tratta del protagonista Pablo sul finire del 1945, trasferendosi presso la sede romana della casa editrice Einaudi per la quale divenne direttore editoriale dopo la scomparsa di Leone Ginzburg). Siamo nella seconda metà degli anni Trenta, durante la guerra di Spagna, quando si delinea meglio il carattere belligerante del governo fascista italiano. La narrazione è in prima persona: a narrare i fatti è proprio il protagonista Pablo (nome non causale: richiama indubbiamente la Spagna e quindi la guerra nella penisola iberica). Il cambio di città a circa metà opera coincide con un’apertura mentale da parte del protagonista: a Torino c’è un completo disinteresse nei confronti della politica e di quello che accade intorno a lui (non si accorge, ad esempio, che il suo caro amico Amelio, rimasto infermo a seguito di un incidente stradale avvenuto con l’amata Linda, è un militante antifascista, sebbene intorno al letto di Amelio ci siano giornali e opuscoli a testimoniare la sua attività sovversiva); a Roma, invece, Pablo entra in una nuova ottica, quella della partecipazione attiva contro il fascismo, comprendendo con colpevole ritardo l’attività illecita di Amelio e i pericoli che il vecchio amico rischiava. Nella città capitolina la mobilitazione segue due strade differenti. Conosce da un lato una dilettantistica e poco produttiva opposizione al fascismo (personificata da Carletto e dalla sua compagnia di amici), mentre dall’altro incontra Gino Scarpa, combattente in Spagna, che permette a Pablo di aprire definitivamente gli occhi sul governo italiano e sulla situazione europea. Pavese, perciò, si sofferma su un periodo storico antecedente rispetto a quello resistenziale e addirittura post-bellico. Compie tale operazione mostrandoci la prospettiva del proletariato e degli incolti. La famiglia di Pablo, infatti, a Torino gestisce una modesta tabaccheria, dove Pablo non ama stare; preferisce di gran lunga destreggiarsi con la sua chitarra e suonare: da tutti, d’altronde, è conosciuto per questa sua peculiarità. Non mancano le donne nel romanzo. La già citata Linda capeggia la prima parte e muove i fili della narrazione: era fidanzata con Amelio, poi si concede a Pablo ma il rapporto è malsano per entrambi. È l’emblema di uno scorretto modello di emancipazione femminile negli anni Trenta. È colei che per il successo nel mondo del teatro sarebbe pronta a tutto, tanto che dona il suo corpo e il suo “amore” al ricco Lubrani, cinquantenne impresario. A Roma, invece, Pablo è meccanico di biciclette in un’officina in cui lavora anche Gina. La relazione carnale tra i due funziona, quella sentimentale un po’ meno, anche perché Pablo ha la mente occupata da altri pensieri, quelli politici appunto. Il finale del romanzo è aperto. Pablo decide di tornare a Torino, mentre di Gina si può solamente intuire che potrebbe raggiungerlo sotto la Mole («Le vedrò quando vengo a Torino?», riferito alla madre e alla sorella di Pablo: è questa l’ultima battuta affidata da Pavese a Gina). Non è casuale, tra l’altro, l’ultimo argomento di dialogo di Pablo e Gina: si tratta di Amelio, che apre e chiude il romanzo, aleggiando con la sua presenza in tutti e ventidue i capitoli. L’ultima parola del romanzo, notte, ci offre un altro spunto. Sono parecchie le scene notturne ambientate sia a Torino che a Roma. Col prosieguo del romanzo le nottate sono sempre meno gioviali e sempre più impegnate. Dunque, Pavese ne Il compagno prova a seguire l’evoluzione esistenziale soprattutto di Pablo che da semplice suonatore di chitarre diventa militante politico. Per la prima volta viene seguito il percorso verso la strada dell’impegno di un proletario e di un incolto, e non di un borghese come era consuetudine. Per molti aspetti contenutistici Il compagno mi ha ricordato La romana di Alberto Moravia. Gli stili e le modalità narrative sono differenti, ma è interessante notare come decidano di affrontare la stessa materia e lo stesso periodo storico due dei più grandi narratori del nostro Novecento.
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Buona giornata e buone letture
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