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Capitan Bellodi: l'anticipatore dei tempi
Capitan Bellodi. Basterebbe questo personaggio a rendere unico il capolavoro letterario di Leonardo Sciascia. Il giorno della civetta ha saputo anticipare clamorosamente i tempi. Dalla penna dello scrittore di Racalmuto prende forma già nel 1960 un commissario impegnato nella lotta contro la mafia nella Sicilia più verace. Capitan Bellodi è il padre della generazione di grandi magistrati che nei decenni successivi hanno lottato per una Sicilia e un’Italia migliore, da Carlo Alberto Dalla Chiesa e Gian Carlo Caselli a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. L’immagine finale del romanzo breve di Sciascia è nostalgica e profonda, racchiude tutta la tenacia e la determinazione del capitano. Bellodi è nella sua Parma, è una Parma imbiancata dalla neve e gioviale, ma pensa e ripensa a quella Sicilia che ha lasciato da qualche settimana con un caso molto intrigato che si è trasformato, come era lecito attendersi, dopo la sua partenza, in un semplice fatto da ascrivere ai “delitti passionali”. Invece, sotto c’era molto di più e il capitano era riuscito a muovere i fili giusti, sospinto dal suo profondo senso di Giustizia. Usiamo la lettera maiuscola per Giustizia non a caso. Quello che maggiormente colpisce nel personaggio di Bellodi è proprio la profondissima convinzione nella Giustizia. Straordinario, dal punto di vista letterario, è il falso verbale pensato e realizzato dal capitano, perché per fronteggiare la mafia bisogna ragionare come la mafia e Bellodi lo fa perfettamente, cercando di incastrare i protagonisti di questo triplice omicidio. Il primo a morire è Salvatore Colasberna, edile che non chiede la protezione di chi “comanda” il settore in quella misteriosa Sicilia (i due paesi coinvolti sono indicati con semplici iniziali, perché come sostiene Sciascia fatti simili potrebbero verificarsi ovunque). Il secondo è Paolo Nicolosi, che suo malgrado nella mattinata dell’uccisione di Colasberna ha incrociato il proprio destino con il mandatario dell’assassinio. Infine, il terzo è il “confidente”, Parrinieddu, che non regge la tensione dopo alcune confessioni al capitano, attirando su di sé l’attenzione della mafia. L’intreccio studiato da Sciascia è vincente: non mancano né gli omicidi né l’indagine come in un romanzo giallo, ma la portata storica e l’impatto sociale sono ben diversi. Si passa dalla Sicilia a Roma e vengono ricreate solamente attraverso la forza dei dialoghi le reazioni di eminenti politici, prefetti e capi mafiosi. La commistione mafia-politica è un’altra colonna portante del romanzo. D’altronde Sciascia ha scritto Il giorno della civetta nell’estate 1960, quando il Governo negava ancora il fenomeno delle mafie. Sciascia ripropone, infatti, in versione letteraria, la risposta sconcertante data dallo stesso esecutivo in una seduta della Camera dei Deputati circa un’interrogazione sull’ordine pubblico in Sicilia, il che appare incredibile considerando che appena tre anni dopo entrò in funzione una commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. I tre interrogati da capitan Bellodi sono Diego Marchica (detto Zicchinetta), Rosario Pizzuco e don Mariano Arena. Interessante seguire durante gli interrogatori le emozioni provate da ciascuno degli accusati e soprattutto spicca la descrizione della suddivisione dell’umanità secondo don Mariano. Per lui ci sono gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i cornuti e i quaquaraquà. Quello descritto, comunque, è un mondo ricoperto da una spessa patina di omertà e l’omertà avvolge tutti, dai civili spaventati ai diversi personaggi loschi implicati nella vicenda. Concludo ribadendo l’estrema contemporaneità de Il giorno della civetta. Non sembrano passati sessant’anni, ma sembra scritto per descrivere il mondo d’oggi. In tal senso chiudo con la citazione di un pensiero del capitano, un pensiero che è profondamente legato all’Italia del 2021: «Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena; e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende, revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inqueti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso. Soltanto così ad uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi… In ogni altro paese del mondo, una evasione fiscale come quella che sto constatando sarebbe duramente punita: qui don Mariano se ne ride, sa che non gli ci vorrà molto ad imbrogliare le carte».
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