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Quando i segni sostituiscono le parole
Il visconte dimezzato è il romanzo dei segni. Attraverso i segni i personaggi del romanzo breve o racconto lungo di Italo Calvino, uscito nel 1952 nella prestigiosa collana I gettoni di Einaudi, diretta da Elio Vittorini, comprendono ciò che sta avvenendo intorno a loro. La vicenda narra di un visconte, Medardo di Terralba (località pensata nell’entroterra ligure), che aderisce alla guerra contro i Turchi. Arriva sul campo di battaglia, viene ferito da un nemico e viene diviso a metà. Grazie a cure fantastiche, riesce a salvarsi e una delle due metà torna a Terralba. Il soggetto della narrazione, dunque, è molto semplice e Calvino lo attinge dalla sua amata letteratura americana e soprattutto dall’autore de L’isola del tesoro, Robert Louis Stevenson, a cui Calvino ha dedicato la tesi di laurea. L’autore, però, immerge questo soggetto nella sua proverbiale dimensione fantastica. Si può, infatti, definire Il visconte dimezzato una fiaba a forte carico realistico. Una volta tornata la prima metà a Terralba saranno proprio i segni che seminerà sul territorio (divide qualsiasi oggetto che trova sulla propria strada) a far accorgere la balia del visconte che è rincasata la metà grama di Medardo. Più che le parole, perciò, sono proprio i segni a far procedere l’intreccio narrativo nelle pagine successive quando farà capolino sulla scena anche la metà buona. Intorno alla figura di Medardo i personaggi si distribuiscono in maniera binaria: comunità laboriosa degli ugonotti e comunità gaudente dei lebbrosi; la già citata balia Sebastiana e la donna contesa dalle due metà del visconte, ovvero Pamela; il carpentiere Mastro Pietrochiodo e il dottor Trelawney. Quest’ultimi meritano un occhio di riguardo, a mio parere. All’inizio entrambi non si dedicano minimamente al bene della comunità umana (uno costruisce forche per uccidere le persone su ordine del visconte gramo, l’altro invece pensa alle rare malattie dei grilli e ai fuochi fatui), poi evolvono e tornano ad occuparsi del bene della società. La divisione del visconte in due metà, una buona e l’altra cattiva, mette in mostra un aspetto centrale del romanzo di Calvino: la bontà assoluta e la cattiveria assoluta sono ugualmente nocive. L’equilibrio ritorna soltanto quando le due parti si riuniscono, compensando bontà e cattiveria. Un ultimo appunto riguarda il narratore. Si tratta del giovane nipote, non riconosciuto a corte, del visconte. Ai tempi della narrazione era un bambino. Nel finale emerge tramite le sue parole l’importanza vitale per ogni uomo di narrare, di perdersi nella fantasticheria della narrazione. Dunque, raccontare è antropologicamente insito nell’uomo e non se ne può fare a meno, ma bisogna poi ricordarsi di tornare sempre alla realtà.
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Un bel libro, sicuramente. Letto però molti anni fa.