Dettagli Recensione
i tempi delle streghe non finiscono mai
LA CHIMERA, DI SEBASTIANO VASSALLI (1990). E’ il primo libro di Vassalli che leggo e mi ha conquistato fin dalle prime righe, non solo perché amo i romanzi storici “seri”, quelli scritti sulla base di una solida documentazione, ma anche perché la prosa di Vassalli è per me tra le più belle e più limpide che io conosca della letteratura italiana. Il suo periodare ha un ritmo regolare come il respiro: calmo, con le pause giuste, così da trattenere il pensiero e l’immaginazione abbastanza a lungo perché accompagnino le parole. Con questa sintassi sciolta e un lessico ricco senza essere prezioso Vassalli racconta la storia di Antonia, giovane donna che nel 1610, a 20 anni di età, fu arsa viva a Zardino, un piccolo borgo poi scomparso vicino a Novara. Di un fatto storico preciso si tratta dunque, ricostituito in tutte le sue sfaccettature grazie ad un lavoro di archivio molto attento e ad un’immaginazione che è solo del genio, la quale colma la distanza tra il documento d’archivio e la vita vissuta. L’esattezza e la vividezza della ricostituzione storica, che nulla hanno da invidiare a quelle per esempio dei romanzi di Zola, non esauriscono però la bellezza del romanzo. Personaggi e avvenimenti sono collocati nello spazio (la campagna novarese) e nella storia vera e propria (quella a cavallo tra ‘500 e ‘600) ma anche nell’ampia prospettiva di un tempo … senza tempo, in cui le cose cominciano, producono rumore e svaniscono: chimere! ombre! cose che hanno la consistenza dei sogni, per quanto grande sia stata la sofferenza di chi queste cose le visse. E’ a causa di questa prospettiva temporale talmente ampia da diventare intemporale (è un gallicismo di mia invenzione :), che fin dalle prime righe ho sentito agire la stessa suggestione, lo stesso fascino, di un altro grande romanzo storico: Memorie di Adriano, della belga Marguerite Yourcenar. Quando Vassalli e Yourcenar raccontano, si è come proiettati sul palcoscenico dell’eternità, perchè il passato ci mostra in forma stilizzata e perciò più visibile\\\\ che il presente di chi visse non è diverso dal presente di chi vive oggi, per quanto cambino i paesaggi e le forme esteriori del vivere. Scrive infatti Vassalli alla fine della Premessa, il cui sottotitolo è “Il nulla”: “ Il presente è rumore: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme in tutte le lingue e cercando di sopraffarsi l’una con l’altra, la parola “io”? Io, io, io ...Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte (con riferimento al titolo di Céline?), o in fondo al nulla; (…) Nel villaggio fantasma di Zardino, nella storia di Antonia. E così ho fatto.”
Ora, “Il nulla” è anche il sottotitolo del “Congedo”, alla fine di un romanzo che si conclude con la descrizione della grande atroce festa che si tenne in occasione del rogo in cui Antonia venne bruciata in nome di Dio: finalmente la pioggia sarebbe tornata e la morte non avrebbe rapito bambini! In nome di Dio. Ultimo capoverso del libro. “Tutto finito?” Tutto finito, sissignore. O forse no. Forse c’è ancora da rendere conto di un personaggio di questa storia, in nome del quale molte cose si si dissero e molte altre si compirono, e che in quel nulla fuori dalla mia finestra, è assente come è assente ovunque, o forse è lui stesso il nulla, chi può dirlo! E’ lui l’eco di tutto il nostro vano gridare, il vago riflesso d’una nostra immagine che molti, anche tra i viventi di quest’epoca, sentono il bisogno di proiettare là dove tutto è buio, per attenuare la paura che hanno del buio. Colui che conosce il prima e il dopo e le ragioni del tutto e però purtroppo non può dircele per quest’unico motivo, così futile! : che non esiste. Non meno di tutto ciò che l’uomo fa, anche Dio è una “chimera”: è la chimera con cui esorcizziamo la paura “del buio”. Cosa poi sia “il buio”, cambia certo aspetto da uomo a uomo e a seconda delle epoche: per il contadino contemporaneo di Antonia è la precarietà della vita, per il devotissimo vescovo Bascapé, discepolo di Carlo Borromeo, è il Diavolo, però insieme, contadini e preti, immolano Antonia per ristabilire il Bene. Perché proprio intorno ad Antonia si coagula la “paura del buio” in quella precisa situazione? Perché Antonia è un’orfana, è bella ed ha carattere, come si desume molto chiaramente da quanto Vassalli trascrive delle sue dichiarazioni agli inquisitori. E come si coagula l’odio intorno a lei? Do la voce a Vassalli, che lo dice molto bene: “All’inizio del ‘600 (…) le voci nascevano per intero dalle ossessioni e dai livori di chi lle metteva in circolazione e si diffondevano in un solo modo, da bocca a orecchio; ma il risultato finale non aveva poi niente da invidiare a quello di oggi, perché quelle voci passavano con grandissima rapidità da una stalla all’altra intrecciandosi con altre voci d’altre stalle, d’altri villaggi, d’altri inverni: formavano un tessuto inestricabile di menzogne e di mezze verità, un delirio verbale di tutti contro tutti che finiva sempre per sovrapporsi alla realtà, condizionandola, nascondendola, determinandone sviluppi imprevedibili; fino a diventare , esso stesso, la realtà” (p. 73, Ed. Einaudi)