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Quel luogo in cui la vita fiorisce
Leggendo l’ultimo libro di Alessandro D’Avenia ci si rende conto già dalle prime pagine che non si tratta solo di un romanzo. “L’appello” – questo il titolo dell’opera, uno dei libri più venduti in Italia nel 2020 – è innanzitutto la riflessione di un insegnante sulla scuola e su come essa abbia in gran parte smarrito la capacità di introdurre i giovani alla ricerca del senso delle cose, del mondo, della propria esistenza e sia diventata un luogo in cui gli studenti vengono trattati come animali da circo, addestrati a ripetere quello che dicono gli adulti.
La storia è quella di Omero Romeo, insegnante di scienze, diventato cieco da alcuni anni, che dopo un lungo periodo di buio interiore più ancora che esteriore, decide di riprovarci, di tornare in cattedra e ricominciare a vivere, di mettercela tutta per «trasformare quel buio in luce, come fanno gli scienziati e gli artisti».
Gli viene così affidata una quinta superiore, ragazzi problematici, con un’esistenza in subbuglio, tutti sul punto di perdersi definitivamente. Dopo un iniziale imbarazzo e un po’ di diffidenza, è con loro che Omero inaugurerà uno stile originale di fare scuola, che ruota attorno al rito dell’appello. Quello che normalmente è il momento più formale e burocratico della giornata, in cui i nomi degli studenti vengono pronunciati a voce alta per verificarne la presenza – perlomeno fisica – in classe, diventa invece il fulcro della lezione: dopo la spiegazione del professore ogni studente è chiamato in causa per dire come un particolare aspetto della realtà oggetto della lezione reagisca con la propria vita e con i drammi, i dubbi, le speranza di cui è fatta. L’esperimento pian piano comincia a suscitare entusiasmo in alcuni, diffidenza e aperta ostilità in altri, a partire dal preside e da tanti colleghi di Omero che non tollerano che un certo assetto ormai sclerotizzato venga in qualche modo messo in discussione.
Il libro è una denuncia, neanche tanto velata, a una scuola che, nonostante la buona volontà di molti insegnanti, si è ridotta ad essere l’ombra di quello che dovrebbe essere: un luogo dove anche le cose più belle vengono inghiottite da un apparato burocratico capace di trasformare tutto in noia sconfinata: «Tutti devono lottare per fare in modo che la scuola così com’è crolli, e ne nasca una nuova. Un luogo in cui le vite fioriscono invece di spegnersi».
Per ripartire occorre uno sguardo nuovo sull’unicità di ciascun nome, di ciascuna storia, una passione per la felicità di ogni ragazzo e ragazza, un instancabile tentativo di generare uomini e donne veramente liberi.