Dettagli Recensione
Salvare un nome
“L’appello”, il nuovo romanzo di D’Avenia, è ambientato tra i banchi di scuola, un mondo che l’autore conosce bene e dove si muove con la maestria di chi ha vissuto sulla propria pelle le ore trascorse tra il suonare di una campanella e un’altra.
La trama vede intrecciarsi le vicende di un professore diventato cieco, Omero, con le vite di dieci studenti scapestrati di una classe quinta del liceo scientifico. Il professore torna dietro la cattedra dopo cinque anni di pausa, a causa della malattia sopraggiunta, e si ritrova a dover affrontare le difficoltà dell’insegnamento caricate dal peso di una perdita che lo fa sentire insicuro ed impaurito.
Il progetto Appello è un metodo che il professore inventa per necessità, quella di poter conoscere i suoi studenti attraverso i sensi che ancora funzionano, ma soprattutto attraverso l’attenzione e la cura per la persona, che oggi sempre di più viene a mancare all’interno della scuola. Un progetto che diventa una vera e propria rivoluzione, perché fa sperimentare agli studenti la consapevolezza di essere importanti, di avere un’anima e una storia, mentre prima erano solo corpi fisici che dovevano attestare la loro presenza materiale seduti ai loro banchi.
Ho trovato l’idea del romanzo interessante e sicuramente emerge la curiosità, la cura e la passione del professore che sta dietro allo scrittore. Il mestiere dell’insegnante spesso e volentieri si appiattisce di fronte ai programmi ministeriali e dell’istituto, si bruciano esperienze e conversazioni per la fretta di ultimare il libro di testo e per avere un numero di voti sufficiente per la valutazione della fine del trimestre, e la persona, l’alunno, con il suo nome e la sua storia, finisce per essere un mero sfondo. Dietro alla storia di Omero Romeo vi è la storia di tanti insegnanti che non si rassegnano e che continuano a mettere lo studente al centro del sistema scuola e non viceversa.
La storia narrata, invece, l’ho trovata pregna di un sentimentalismo esagerato e sbandierato; ricca di citazioni e di riferimenti letterari, filosofici e scientifici che spesso e volentieri non reggevano con la trama e inserite per aumentare l’effetto drammatico (o melodrammatico) del momento.
Si tratta di un romanzo leggero, che si legge velocemente e tutto sommato piacevole, sicuramente commerciale e adatto ad un certo pubblico (soprattutto adolescenziale), ricco di ideali e di speranze, ma poco credibile e verosimile, dalla scelta dell’onomastica dei personaggi (chiaramente metaforica) alla costruzione delle storie degli studenti, tutti con famiglie e storie disastrate, pieni fino al collo di problemi che raramente si presentano in maniera così compatta e massiva in una sola classe.
La sensazione finale che il libro mi ha lasciato, una volta chiuso, è stata contraddittoria e forse va bene così. Il romanzo mi ha lasciata con un po’ di amaro in bocca, perché è difficile leggere un libro che parla di scuola, quando nella scuola uno ci lavora, e trovare credibile la storia raccontata, ma passando oltre la retorica infarcita di pensieri costruiti per emozionare e scaldare il cuore (per pochi secondi), ho trovato nell’entusiasmo del professore e nell’interesse, nella cura e nel dolore che egli prova di fronte alle cadute e ai fallimenti dei propri studenti, una sensazione non nuova, ma che dovrebbe animare e “tormentare” gli insegnanti di tutte le scuole.
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Commenti
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Questo romanzo lascia aperte le porte della speranza e del cambiamento, la volontà di far del bene semplicemente prestando ascolto a chi ci sta davanti. Per questo, al di là della trama e dello stile di scrittura che non mi fa impazzire, non mi sento di condannarlo o "bocciarlo" (se vogliamo usare il linguaggio scolastico del libro).
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