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L'invitato
 
L'invitato 2020-12-21 12:27:30 Mian88
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    21 Dicembre, 2020
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

Leo, Tom, Kevin e... Vienna.

«Se c'è una cosa su cui continuo a riflettere e per la quale faticherei a ricredermi, è che siamo noi i peggiori nemici di noi stessi. Non avrei altro da aggiungere, a meno che questo non bastasse a mettermi in croce per tutti gli errori che ho commesso.»

Tre volti quelli di Leo, Kevin e Tom, originari di Trieste, la città del vento, la città caleidoscopio di culture e popoli che si intrecciano tra loro, la città del molo Audace che di audace ha tutto nel suo volto che si apre ed estende nell’immenso, che si riuniscono in quell’atmosfera viennese fatta di Storia che si respira a ogni angolo, fatta di magnetismo e di tempo che passa ma che sembra restato immutato, grazie a una idea di Tom. È trascorso molto tempo dal loro ultimo incontro ed è proprio tramite un invito in quel di Vienna per prendere parte a un progetto avente ad oggetto una galleria dedicata alla Pop Art che i tre si ricongiungono.
La scena muta e si apre a casa di Tom, un luogo dove il lusso regna sovrano e che ben si presta a quei prestigiosi incontri che dovranno tenersi con le personalità di spicco del settore e sovente caratterizzati da quei pregiudizi e da quello snobismo proprio della casta.

«La continua frequentazione alla ricerca ossessiva del divertimento e del piacere finì per intorpidire le nostre aspirazioni e alimentare il più grande desiderio dell'uomo: il non fare assolutamente nulla.»

E se da un lato all’inizio siamo respinti da Leo, vera voce dell’opera che arriva con il suo vivere l’attimo e approfittare del momento, qualunque esso sia, rifuggendo al pensiero del domani e rischiando talvolta di risultare arrogante e supponente con questo suo atteggiamento che tende a farlo porre sopra gli altri, poi ne siamo attratti tanto che naturale è l’empatia con il suo ruolo e il suo personaggio. Alberti riesce perfettamente in questa caratterizzazione tanto che nel lettore suscita emozioni tra loro contrastanti permettendogli di assaporarne ogni caratteristica. Kevin è al contrario il personaggio silente, colui che ha un grande cuore ma che resta più nelle retrovie arrivando con la sua presenza e non con le sue azioni (ciò lo rende anche oggetto di derisione), infine, Tom, che giunge al conoscitore che si avventura tra queste pagine grazie a quel suo desiderio di arrivare sotteso ma in particolar modo grazie ai toni sarcastici che ne denotano l’indole. Tre personalità, quelle delineate dal narratore, che costruiscono un volto corale che può essere scisso in singole identità. Chi legge riscontra in ciascuno di essi elementi veritieri e tangibili, si rispecchia in maggiore o minore parte, ne apprezza le sfumature.
A conquistare però non è soltanto la storia gradevolissima, originale e al contempo una boccata d’aria fresca nel settore letteratura contemporaneo, è anche lo stile che spicca con tutta la sua dirompenza. Massimiliano Alberti ci destina di un elaborato caratterizzato da uno stile elegante, pregiato, prezioso che accarezza l’occhio per appagarne anche l’anima. Uno stile che rispecchia le multi-facce triestine e che è altrettanto evocativo per l’ambientazione viennese che giunge con tutta la sua raffinatezza, maestosità e imperiosità.
Romanzo d’esordio, quello di Alberti, che non passa inosservato e che solletica il palato del lettore con curiosità, brio, umorismo e quella stessa essenza propria della pop art.

«La vita è troppo corta per essere vissuta cinicamente. Una buona mediocre paghetta per farsi qualche regalino ogni tanto, non ripaga il vuoto che sia nell’animo. Aspirine! – dissi cucinandomi a lei con fremito -, sono solo aspirine temporanee, che servono ad abbassare il grado di generica insoddisfazione nei confronti della propria esistenza. Ma il fatto di sentirsi importanti per qualcuno o di sfidare le sorti del proprio destino, beh questa è la medicina che ci può salvare dalla malattia della rassegnazione. Per farla corta, però – conclusi tornando sui miei passi-, L’essere umano ha bisogno di sognare.»

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