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Il vuoto e il desiderio del mal d'amore.
«Del resto la nonna diceva sempre che la sua vita si divideva in due parti: prima e dopo le cure termali, come se l’acqua che le aveva fatto espellere i calcoli fosse stata miracolosa in tutti i sensi.»
E lei lo sa. Lo sa che la sua vita non potrà più essere quella che è stata in passato, non potrà più essere quella del prima, del prima dell’incontro con il Reduce e la sua gamba amputata. Lei, la nonna, è qui che ha conosciuto il grande amore, è qui che per la prima volta ha sorriso dal cuore e ha sentito di essere apprezzata e amata per quel che è sempre stata e per quel che è e non anche per quel pregiudizio che da sempre la addita quale folle, quale matta per quel dolore che lacera l’anima e si ripercuote e manifesta sul corpo. Lei che è stata data in moglie a un uomo che voleva sdebitarsi per l’accoglienza ricevuta, lei che solo curando quei calcoli renali, il mal di pietre, che le impedivano di restare incinta, ha scoperto anche il mal d’amore.
Un quadernetto nero con il bordo rosso, una lettera ingiallita, luci e ombre di quegli anni così a ridosso con il Secondo conflitto mondiale in quel di Cagliari, così ancora dolorosi e bui. A narrarci di questo viaggio in continente, a narrarci di questo amore che si è perpetrato negli anni e sedimentato nel cuore, è la nipote che ricostruisce il nesso, che ricostruisce la storia con pennellate fatte di parole e ricordi. Perché alla fine, la nonna, cosa desiderava se non tanto il lasciarsi andare a quel sentimento che pulsava dentro come un richiamo spasmodico? Da qui il bisogno, l’immaginazione, il rimpianto per quell’amore non realizzato ma così cercato, la scrittura di giovani e adulte memorie su un quadernetto fatto di segreti, manchevolezze, sogni e speranze.
«Il Reduce scoppiò a piangere e si vergognava da morire perché da bambino gli avevano insegnato a non mostrare il dolore. Allora anche la nonna si mise a piangere dicendo che invece a lei avevano insegnato a non mostrare la gioia e forse avevano ragione perché l’unica cosa che le era andata bene, essersi sposata con nonno, le era stata indifferente e non aveva capito perché quei pretendenti fuggissero tutti via, ma del resto cosa ne sappiamo noi davvero degli altri, cosa ne sapeva il Reduce.»
È nella nonna che è racchiuso il perno di quella figura che mantiene l’equilibrio della famiglia e delle persone che ha al fianco anche quando il mondo sembra tirar su una barriera atta a barricare. Ed è ancora colei che ci insegna cosa sia l’amore. Sì, lei che lo ha ricercato e immaginato per tutta la vita, lei che ne ha fatto parola e confidenza, lei che si è affidata alla magia e alla non regola per coglierne ogni sfumatura.
«Perché in fondo, forse, nell’amore, alla fine bisogna affidarsi alla magia, perché non è che riesci a vedere una regola, qualcosa da seguire per far andare le cose bene.»
Il risultato è quello di un racconto piccolo nella sua mole, enorme nel suo contenuto. Uno scritto intriso di introspezione e riflessione, una perfetta armonia che ci invita a soffermarci su quel mal d’amore ma anche su quell’amore al contrario forse avuto accanto ma mai riconosciuto. Ed ecco che ancora la parola scritta torna ad avere il suo senso, torna a curare, torna a solleticare cuore, mente e animo. Con delicatezza, con pacatezza eppure con grande incisività.
«Non smetta di immaginare. Non è matta. Mai più creda a chi le dice questa cosa ingiusta e malvagia. Scriva.»