Dettagli Recensione
Riciclaggio
Di solito in un brutto libro c’è (quasi) sempre qualcosa da salvare.
Non è questo il caso.
"Le stanze dello scirocco" di Cristina Cassar Scalia è un romanzetto Harmony della peggior specie travestito da romanzo storico-sociale sulla Sicilia degli anni Sessanta. La trama è una di quelle che si indovinano fin nei minimi dettagli anche solo leggendo il retro di copertina, così scontata, prevedibile e piena di vuoto melodramma da far concorrenza alle telenovele sudamericane: il bel (ovviamente) tenebroso dal carattere autoritario e un oscuro passato incontra la bellissima (ovviamente) fanciulla dotata di qualsiasi virtù e poi... Indovinate voi. Aggravano il tutto pesanti tocchi di lacrimevole, talmente tirato per le lunghe che perfino gli aspetti davvero toccanti finiscono con il diventare intollerabili e ridicoli.
Tra amori contrastati, suicidi o presunti tali, manicomi e storie di guerra si ha la sensazione, fin dalle prime pagine, di avere tra le mani un polpettone degno dei peggiori feuilleton, eppure c'è un piccolo problema da considerare: i feuilleton di solito sono scritti bene o almeno abbastanza bene da catturare e tenere viva l'attenzione, la curiosità di chi legge per molte, molte pagine. "Le stanze dello scirocco" non soltanto ha una trama che al massimo potrebbe piacere a qualche nostalgica degli anni Sessanta o appassionata delle suddette telenovele, ma fallisce anche dal punto di vista stilistico: la scrittura è esasperatamente lenta (lentissima), ridicolmente enfatica, inutilmente ripetitiva e dannatamente prolissa. Qualcuno dovrebbe spiegare a Cristina Cassar Scalia che se scrivi un libro di 400 e passa pagine devi avere qualcosa di veramente importante o interessante da dire, altrimenti è meglio tagliare corto.
Non si salvano nemmeno i personaggi, praticamente dei cliché fatti e finiti: il protagonista sexy, tormentato e dispotico in perfetto stile Christian Grey (ma no, non è un pazzo fuori controllo che ringhia se un altro uomo guarda la sua donna, è solo che nel suo passato ha sofferto tanto e così...), la protagonista bellissima e determinata che sa fare bene qualsiasi cosa, "l'altra donna" dai facili costumi (appositamente confezionata per far risaltare la virtuosa protagonista), l'amico "fimminaro", l'amica carina e svampita e quella bruttina ma buona, lo zio prete bacchettone (giuro), la zia triste dal passato misterioso e compromettente.
A coronare il tutto l'odiosa abitudine dell'autrice di offendere un personaggio femminile, Sara, sfottendolo per la sua "stazza" (cito alla lettera) e la sua mancanza di bellezza in confronto alla splendida protagonista, della quale viene sottolineato in continuazione quanto sia bella e soprattutto magra, tant'è che alcuni personaggi la giudicano addirittura "troppo magra"... Troppo magra, forse, ma comunque perfetta, mentre chi ha le curve può soltanto fare schifo. Evidentemente per Cristina Cassar Scalia l'unico ideale di bellezza femminile accettabile è quello che rientra nella taglia 42. "Le stanze dello scirocco" è il primo romanzo di questa autrice, in seguito passata a scrivere gialli, l'ultimo dei quali figurava ad agosto 2020 tra i primi venti libri più venduti in Italia. Con il tempo, magari, lo stile di scrittura può migliorare. Le idee stupide, però, è molto più difficile che cambino.
Ci sono in particolare un paio di passaggi che meritano di essere citati per l'altissimo valore letterario e umano che rappresentano (in corsivo sono evidenziati gli aspetti più rivoltanti). Il primo passo racconta il momento in cui la protagonista rivede per la prima volta la sua "grassa" amica.
«Vicki non vedeva quelle ragazze da quando erano bambine, se le avesse incontrate per strada non le avrebbe riconosciute. Mentre ricambiava il saluto non poté fare a meno di notare la stazza giunonica di Sara, la sua ex compagna di giochi. Elisa, di due anni più piccola, era invece piuttosto graziosa. Anche Annina, che non poteva avere più di sedici anni, si avviava allegramente verso l’obesità. […] “Sara si sposa”, annunciò subito Annina. […] Vicki represse un sorriso divertito quando Sara le disse che lo sposo era Gaetano Urso, che ricordava come un ragazzo goffo, bruttino e con spessi occhiali».
Il secondo passo si riferisce al matrimonio della ragazza di “stazza giunonica”.
«Sara arrivò avvolta nella nuvola bianca di pizzo e tulle che la migliore sartoria di Palermo aveva confezionato come lei […] aveva richiesto. Senza tenere conto delle dovute differenze di stazza e di altezza, su erano ispirati all’abito della principessa Grace di Monaco. Il risultato, indosso alla povera Sara, non dava il giusto risalto al buon nome della sartoria».
E quello di Sara non è l’unico caso in cui i personaggi (e l’autrice attraverso loro, dato che non mostra mai, neanche per mezza riga, di condannare questo modo di pensare) tirano fuori commenti a dir poco disgustosi sulle donne e il loro corpo: ad esempio, si afferma che fino a quando una ragazza resta “troppo vestita” è impossibile capire se sia o meno “il tipo” di un uomo, come se si trattasse di un pezzo di carne esposto nella vetrina di un macellaio e non di un essere umano dotato di cervello e sentimenti.
Insomma, la protagonista sorride pensando a un ragazzo poco affascinante e a una ragazza in sovrappeso che si sposano, qualcun altro invece sorride pensando che alla Sperling & Kupfer dovevano essere ubriachi quando hanno mandato in stampa questa roba, buona soltanto per il riciclaggio della carta.
Non c'è bisogno di aggiungere altro.