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L'infanzia è una fabbrica di menzogne
Il corpo di Amalia viene ritrovato sulla spiaggia di Spaccavento, privo di vita e di indumenti, a parte un sensuale reggiseno firmato, insolito per l'età e la modestia di chi lo indossa. Morte accidentale? Suicidio? Omicidio? Delia, figlia della defunta, prova a far luce su quanto accaduto. La sua indagine sulla morte della madre si trasforma ben presto in un viaggio nel passato che procede tra le nebbie di ricordi sbiaditi, di violenze domestiche che fanno ancora male, di inconsulti gesti infantili che possono segnare la vita di una famiglia. Uomini gelosi e violenti, fantomatiche tresche amorose, fame e lavoro duro, si mischiano all'allegria dei giochi, portando i figli ad immedesimarsi nei genitori fino a raggiungere un punto di non ritorno. Intorno c'è un'ambientazione soffocante, plumbea, una Napoli dei bassifondi in cui povertà, volgarità, laidezza la fanno da padroni in maniera forse un po' forzata, inseguendo facili e discutibili stereotipi. La scrittura è fredda, schematica, così come fredda appare la protagonista, incapace di amare la propria famiglia, di legarsi a qualcuno, di provare piacere sessuale. Elementi che rendono difficile entrare in empatia con Delia e appassionarsi ad una lettura poco coinvolgente, ad una storia in cui i personaggi sembrano incapaci di provare alcun sentimento che non sia la rabbia. Più si avanza nel racconto, più Delia fa ordine nella sua mente, in quello che è stato un brutto passato che, per una forma di comprensibile autoprotezione, ha omesso per anni di ricordare con lucidità, perché in fondo "l'infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all'imperfetto". Quando la nebbia dei ricordi si diraderà, guardandosi allo specchio Delia dovrà capire se l'immagine davanti ai suoi occhi sarà la sua o quella di Amalia. "Persino le stelle, così fitte d'estate, mi sembravano bagliori del mio smarrimento. Ero così decisa a diventare diversa da lei, che perdevo a una a una le ragioni per assomigliarle. Il sole cominciò a scaldarmi. Mi frugai nella borsetta ed estrassi la mia carta d'identità. Fissai la foto a lungo, studiandomi di riconoscere Amalia in quella immagine. Era una foto recente, fatta apposta per rinnovare il documento scaduto. Con un pennarello, mentre il sole mi scottava il collo, disegnai intorno ai miei lineamenti la pettinatura di mia madre. Mi allungai i capelli corti muovendo dalle orecchie e gonfiando due ampie bande che andavano a chiudersi in un'onda nerissima, levata sulla fronte. Mi abbozzai un ricciolo ribelle sull'occhio destro, trattenuto a stento tra l'attaccatura dei capelli e il sopracciglio. Mi guardai, mi sorrisi. Quell'acconciatura antiquata, in uso negli anni Quaranta ma già rara alla fine degli anni Cinquanta, mi donava. Amalia c'era stata. Io ero Amalia."
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Fuggo da questa autrice(?). Mai letta; non mi suscita alcuna curiosità.