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L'altra donna
 
L'altra donna 2020-10-16 10:46:11 lapis
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
lapis Opinione inserita da lapis    16 Ottobre, 2020
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Autopsia di un amore

Questo romanzo è un tavolo autoptico su cui giace un amore finito da più di dieci anni. Le parole, affilate e taglienti come un bisturi, non esitano ad aprire, spietate e implacabili, ma da quella ferita non sgorga più il sangue caldo della passione, della rabbia, della sofferenza. Quell’amore oramai è un corpo inanimato, da osservare e analizzare, non per riviverne le emozioni o per lasciarsi trasportare dalla nostalgia, ma per rispondere a un bisogno freddo e cerebrale, quello di capire cosa si cela dietro la distruzione di un rapporto, e perché distruggere a volte sia l’unica strada per trovare quel porto tranquillo tanto cercato.

Filo conduttore di questo viaggio introspettivo è l’idea che una coppia non sia una bolla abitata da due persone, ma una costruzione che deve fare i conti con tutti coloro che le rispettive storie si portano dietro. Le passioni brucianti, i trascorsi famigliari, il peso degli errori e delle fughe.

Elena, voce narrante, è una giovane contabile innamorata del suo ex professore di economia, Pietro, di trent’anni più vecchio. Lui ha un matrimonio alle spalle, tre figli ormai adulti, un passato complesso e stratificato, ma ad Elena non importa, è qualcosa di lontano, esterno al bozzolo di felicità che hanno costruito, calzando le maschere di giovani e spensierati sposini. Così quando l’ex-moglie Maria la avvicina con uno stratagemma, Elena percepisce per la prima volta che esiste un’altra prospettiva con cui guardare le cose. Chi è la protagonista e chi l’altra donna? Si può davvero costruire senza sapere la storia di quel matrimonio andato in pezzi, senza guardare in faccia le ragioni di quel fallimento, senza fare i conti con i non-detti? Conoscere significa però attraversare una barriera da cui non si torna più indietro, perché nella verità si nascondono debolezze, illusioni, paure, ed è difficile conviverci e accettarle. Ma indispensabile, perché per salvarsi bisogna prima assolvere, gli altri e se stessi.

“Era scesa tra noi l’illusione che tutto si potesse rifare sempre da capo, senza tracce di quello che era accaduto, come fossimo lavagne pronte a essere cancellate, riscritte, cancellate di nuovo”.

Cristina Comencini dà vita a uno scritto psicologico, introspettivo, riflessivo, in cui si percepisce l’urgenza di volere capire, addentrandosi nelle pieghe di stati d’animo e sensazioni, senza sconti e senza abbellimenti. Ottima la capacità dell'autrice di scavare negli angoli bui della famiglia e dell’animo umano, mettendo in scena un confronto femminile e generazionale che molto ha da comunicare. Lo stile asciutto, incalzante e aspro diventa un elemento cardine della narrazione, invogliando a proseguire nonostante una trama scarna, sfumata, che rimane quasi in secondo piano. Una lettura che costringe a riflettere e meditare, da cui mi sarei però aspettata maggiore intensità e trasporto emotivo e che mi ha invece lasciato la sensazione di una potenza inespressa e di un fuoco spento, di cui ho percepito solo qualche scintilla.

“Siamo una catena di storie d’amore, una dentro l’altra, e i fallimenti appartengono a tutti. Ero figlia di una serie di donne che venivano prima di me, come lui lo era degli uomini. Non ci si salva da soli”.

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Commenti

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Bella recensione. E bellissima l'ultima frase, che me ne ha ricordata un'altra di Coetzee, pronunciata in un contesto e con un significato diverso ma, incredibilmente, con una successione di termini che in parte ricalca questa della Comencini.
In risposta ad un precedente commento
lapis
20 Ottobre, 2020
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Grazie mille, Rollo. Sì, l'ultima frase è quella che mi ha più colpito, e mi pare racchiuda quello che io ho percepito come lo spunto più interessante di questo testo. Non ho mai letto Coetzee, ma è davvero curioso come immagini simili si trovino in scrittori anche molto diversi.
Grazie per il commento e per l'attenzione!
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