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Incontrare la verità
"Che disgrazia.
Così giovane.
Povero bambino.
Brutto male.
Come se fosse esistito un male bello che ti faceva l'elemosina di lasciarti vivo."
Brutto male ha portato via la mamma di Massimo quando lui aveva appena nove anni. Una mezza verità. Perché ci sono verità che ai bambini non si possono raccontare per intero: sono piccoli e non possono capire. Magari un giorno, quando saranno grandi...
Ma di quella verità, il piccolo Massimo, inconsciamente, coglie, si avvicina alla metà che gli verrà taciuta per quarant'anni. Nessuno gliene parlerà prima, nemmeno suo padre. Già, suo padre. Un uomo capace di essere severo ma non anche sensibile, non un maschio femmina, un "maschio e basta, cresciuto nel mito di due uomini forti: nonna Emma e Napoleone."
"Una sola volta osai chiedergli quale fosse, in una classifica ipotetica delle disgrazie, la più meritevole del primo posto: la scomparsa prematura di una moglie o di una madre... Mi tenne un discorso molto razionale... dei due chi stava messo peggio ero io, perché una moglie si può sostituire, una mamma no."
Ma il piccolo Massimo prova a riempire quel vuoto cercando affetto anche nella rigida Mita, la tata da cui si aspettava di essere "riempito di baci e torte di cioccolato".
Massimo diventa grande in mezzo a tanti "se": se la mamma era scappata con Brutto male era perché non gli voleva più bene, "se ogni tanto qualcuno facesse il tifo per me", se la mamma fosse stata viva avrebbe potuto chiederle dei consigli sulle ragazze.
"Non sei più quel che eri, bambìn. Hai preso freddo. Ogni tanto penso al calduccio in cui saresti cresciuto, se ci fosse stata la tua mamma."
Massimo, ormai adulto, ancora ci ripensa con rabbia: "Nessuno mi ha insegnato niente. Nessuno!"
Se c'è un amore per il quale è inconcepibile che possa essere fragile, arrendevole, egoista, è certo l'amore di un genitore per il proprio figlio, e ancora di più quello di una madre.
Eppure "Sapevo da sempre com'era morta, ma avevo deciso da subito di non volerlo sapere."
Per il Massimo adulto giunge il momento di guardarsi indietro per l'ultima volta. Ci sono domande per le quali una risposta, dopo tanti anni, non ha più alcuna importanza. Non serve, non più ormai. Perché è tempo di smettere di annaspare in un mare di rabbia e di se. È tempo di lasciare andare. Perdonare e perdonarsi.
"Fai bei sogni", è uno spaccato autobiografico che Gramellini condivide con i suoi lettori, ripercorrendo la perdita della madre e il suo percorso di crescita fatto di insicurezze e paure dovute all'assenza di quegli abbracci che sanno di "slancio primordiale".
Chi si aspetta un romanzo che faccia commuovere fino alle lacrime non lo troverà: l'autore sceglie una prosa leggera, asciutta, a tratti ironica ma non per questo meno capace di offrire uno spunto di riflessione sull'incapacità che hanno talvolta gli adulti sia nell'affrontare il proprio dolore per la perdita di un affetto sia nell'aiutare un bambino che si ritrova a vivere, anche se in una veste diversa, quello stesso dolore.
La lettura suscita, nel contempo, tenerezza verso il Massimo bambino e un sorriso dinanzi alla descrizione di nonna Emma e infonde un senso di speranza perché la vita ad un certo punto può (davvero per tutti?) finalmente "risorgere come una corrente d'aria fresca".