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Triste cartello… VENDESI…
Tralummescuro di Francesco Guccini, opera finalista al Premio Campiello 2020, è un omaggio a Pàvana, paesino dell’Appennino tosco-emiliano che oggi vive il dramma dell’abbandono (“Il Mulino ha avuto anni di abbandono, l’umidità si è impadronita delle stanze già umide di suo e i campi atorno sono stati abbandonati…”) e dell’inesorabile spopolamento (“Tristi sfilate di case, con un altrettanto triste cartello… VENDESI…”).
Su queste pagine si abbattono folate di nostalgia per tempi irrimediabilmente perduti e per una civiltà – quella contadina – pura nelle sue declinazioni a volte crudeli e rudimentali (“Il compito di castrare i galletti era di solito affidato a una donna perché, credi, nessun uomo, pensando ai propri gioielli, avrebbe avuto il coraggio…”) e nei suoi riti (“Il pane lo facevamo ogni giovedì. Non c’era una ragione specifica per questo rito del giovedì…”).
Il linguaggio è creato ad hoc, contaminato da espressioni dialettali (“Hai bolato?” = Hai trovato funghi?) e, pur intonato allo spirito dell’opera, rappresenta uno degli ennesimi esperimenti che – dopo Camilleri – non sono più né originali né piacevoli per il lettore. Ad ogni buon conto, in appendice, si trova un vocabolario che consente la traduzione dei passaggi più ostici.
Bruno Elpis
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