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L'Italia che fu
“Ragazzo italiano” è un romanzo che, stante i “precedenti” in editoria del suo autore, ha destato subito scalpore ed è riuscito anche a far storcere il naso a molti che lo hanno interpretato quasi più come un esercizio di stile o un capriccio che un effettivo esordio.
Sin dalle prime pagine non veniamo colpiti da uno stile erudito o dalla ricerca di tecnicismi lessicali quanto da una penna elegante e veniamo più che altro trasportati nel passato, negli anni del Secondo dopoguerra, negli anni di rinascita di un paese che oggi sembra aver perso il suo nord sotto molteplici aspetti. Siamo catapultati, in particolare, tra i banchi di scuola perché questa è l’istituzione che più ci permette di raggiungere una istruzione e una formazione e che quindi, per rapporto di causa effetto, può portarci a essere migliori.
Ninni nasce nel 1946, trascorre le sue estati nelle campagne del Querciano in Emilia, è protetto dalla nonna materna e dal suo affetto mai mancante e anzi onnipresente che riesce anche nell’impresa di avvicinarlo alla lettura. Siamo di fronte a una Italia rurale, bigotta, vincolata a principi del passato e che non sembrano voler lasciar posto al futuro. E mentre le estati trascorrono tra le campagne emiliane, gli inverni sono scanditi dai ritmi della scuola di Zanegrate in Lombardia, dove il giovane vive con la madre, la sorella minore Lella e il padre. In quel di Milano, ancora, egli conosce la perdita dell’agio e scopre il peso della rinuncia, del pregiudizio e dell’essere vessati. Quale unica possibilità se non la scuola e se non i docenti per poter credere ancora in un futuro possibile e migliore, un futuro fatto di promesse e possibilità?
«Eppure, pensava guardando la sua piccola classe, proprio in quelle notti e in quelle nebbie, in quell’Europa atroce e disperata, loro erano venuti al mondo. Figli della guerra, non c’era dubbio. Ma come nei film inglesi prediletti dalla mamma, anche figli di amori che erano stati grandi, incoercibili.»
Quello di Gian Arturo Ferrari è un titolo che ci invita a riflettere sul ruolo della scuola quale mezzo per eccellenza, anche se vissuto con sacrificio e abnegazione, quale possibilità per il domani. In alcuni capitoli, non a caso, vengono descritti gli incontri con i professori, docenti che con il loro carisma segnavano le vite dei giovani scolari.
Per mezzo della storia della famiglia di Ninnì ha luogo anche la ricostruzione del volto del nostro paese dal momento di incertezza, povertà e asprezza dell'immediato dopoguerra per arrivare agli anni del boom economico. Non mancano riflessioni sui diversi ceti sociali, sull’appartenenza politica, sul binomio partigiano-fascista, sul binomio democristiani-comunisti, sulle disuguaglianze che ostacolano con forza ogni proposito di riscatto.
Un libro che può far discutere ma che rievoca ricordi, che è intriso di nostalgia, che merita una possibilità.
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