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“E tu di chi sei la figlia?”
Tredici anni, una sorella che non sa di avere. E dei fratelli che la salutano con un fischio o la ignorano. Non li conosce. Loro sono la sua famiglia per forza.
E’ l’agosto del 1975. Frequenterà la terza media.
Si lavano i piedi nella stessa bacinella, lei e la sorella, l’acqua si fa subito nera, dividono il letto, il sudore, l’odore di ammoniaca della sua urina calda. Nel buio denso di fiati cerca la pianta del suo piede da tenere sulla propria guancia. E’ la sua unica compagnia.
Eppure…Adriana. Un cenno di intesa. Solo un vago sguardo. O un tocco al volo sul braccio. Bastano a capire che è il momento di scappar via insieme. “Poi è venuta con una corsa breve e improvvisa, mi ha abbracciata. Avevo posato tutto sull’asfalto, l’ho stretta e baciata sulla fronte. Ci siamo mosse fianco a fianco senza dirci niente…”
Adriana che blocca il braccio della madre perché.. “non devi mena’ pure a essa.”
Adriana…che le dice ”quando scappi a me non ci pensi?” ci siamo stritolate in un abbraccio. E’ il Natale del 1976.
Vincenzo, in quell'attimo, occhi negli occhi dimenticando “chi eravamo”. E continuare a sentirlo, anche dopo, quando resta solo l’odore e i ricordi.
Sergio e i suoi cattivi scherzi.
Giuseppe che gattona e la guarda non riconoscendola. Ma solo all'inizio.
Quella madre, alla fine di se stessa, da salvare.
L’autrice è così brava a introdurci nella cucina spoglia e sporca, nella stanza da letto divisa con tutti gli sconosciuti fratelli, nel bagno già usato e chiazzato di acqua ovunque, nella continua ricerca di una spiegazione che tarderà ad arrivare e nel nuovo mondo di questa sorella che non ha un nome.
Arminuta si chiama, che nel dialetto abruzzese significa ritornata, restituita.
I brevi capitoli, anzi brevissimi, mi conducono a piccole dosi in una storia che sarebbe tristissima se non fosse un continuo riscoprire dolcissime e inaspettate attenzioni. Ovvia. Naturale.
Non l’ha mai chiamata. Non con quella parola strozzata, morta in gola. Mamma.
Mi commuovono i grandi slanci di amicizia e di affetto e di ricerca e di compagnia reciproca. Di comprensione.
E’un romanzo a tratti poetico con grandissimi slanci di passione, rabbia, disperazione, sentimenti che si rincorrono continuamente. Due sorelle, perché tali sono nella realtà, ma sorelle…perché lo diventano. Nella protezione, nell'aiuto, nell'intima condivisione, nella compagnia.
Chi dice che il mestiere di madre è uguale per tutti sbaglia. Per alcuni è ulteriormente più difficile e faticoso. Ma ci sono gesti, a volte solo sguardi, che restano, anche se ce ne accorgiamo solo dopo.
Ci sono sorelle che sono anche madri.
Avere due madri o nessuna, e non avere un nome. Il nome è tutto, ti fa sentire al mondo e accettata. Ed è ancora più importante che ti chiamino col nome che tu hai scelto per te, per sentirti, per riconoscerti.
“Lo sanno tutti. Lo sapevano tutti e io no.”
“Poi si è spogliata anche lei e ha lasciato i vestiti sulla sabbia tiepida, insieme alla sua paura. Si è affidata alla mia mano e siamo entrate, con la biancheria intima addosso. … mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Nella complicità ci siamo salvate.”
La sorella di tutti i giorni. Mi guarda. La guardo.
Il finale da solo vale tutto il romanzo. La sua poesia da sola vale tutto il racconto. Che è potente e bellissimo.
Buone prossime letture a tutti.