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Memorie e testimonianze
“E tanti e tanti altri dormono nei campi di grano e di papaveri e tra le erbe fiorite della steppa assieme ai vecchi delle leggende di Gogol e di Gorky. E quei pochi che siamo rimasti dove siamo ora?”
È con grande umiltà e fedeltà che Mario Rigoni Stern, Sergentmagiú, ci riporta indietro nel tempo a quella che fu la ritirata di Russia, a quelli che furono i giorni di prigionia in un lager tedesco, a quello che è semplicemente uno spaccato dello ieri nell’oggi, nella storia e nella vita.
È con autenticità che, nella sezione intitolata “Il caposaldo”, riviviamo quelli che furono i giorni delle trincee in quel freddo infernale che scava nel profondo, che arriva sino alle ossa sedimentandosi in queste. Segue “La sacca” ove, il nostro alpino, ci parla di quella che invece è stata la ritirata. In ogni pagina Stern ci rende partecipi di quella che era la quotidianità nelle trincee, ci narra delle consuetudini, delle piccole usanze istillate tra coloro che erano partiti perché credevano in un qualcosa e in un ideale per poi risvegliarsi in un mondo dove alla fin fine erano loro i nemici e gli invasori da abbattere, ci parla, ancora, di quelle emozioni umane quali la paura e il terrore che soggiogavano gli animi.
Ancora, prosegue l’autore, il sogno di poter tornare a “baita”, di poter far ritorno a un luogo chiamato casa ma che non a tutti è stato concesso. Perché il ritorno è stato caratterizzato dalla presenza di quei nemici sempre alle spalle, di quegli uomini che impotenti hanno ceduto al freddo e che sono caduti come mosche, che erano impreparati a quel che li avrebbe aspettati sia psicologicamente che dal punto di vista delle attrezzature e che erano accomunati da una consapevolezza unica: anche riuscendo ad arrivare a “baita” nulla sarà più come prima.
Quelli di Stern sono ricordi ancora vividi nel cuore, sono la testimonianza diretta di quel che significa essere alpini, di quel che essi hanno vissuto. Ciò che maggiormente arriva di questi scritti è il candore con il quale sono redatti, la semplicità con la quale sono delineati tanto che al lettore giungono con grande forza empatica suscitando un grande senso di umanità e comunanza. Il narratore ci invita ancora a riflettere sul senso della guerra, sul suo essere stato, sulla sua follia più intrinseca. Ci permette di vivere sulla pelle quello che fu il freddo russo, quello che fu il gelo radicato nelle ossa.
La sua è una memoria rara che arriva, si instaura nel cuore e nell’animo, vi si sedimenta. Un libro semplicemente irripetibile nel suo genere, da leggere e custodire.
“Vi era un bel sole: tutto era chiaro e trasparente, solo nel cuore degli uomini era buio. Buio come una notte di tempesta su un oceano di pece.”
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