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Dovrebbero farci un film (non è un complimento)
"Spy story love story" è un romanzo thriller dal titolo incredibilmente fuorviante, perché non si tratta propriamente di una storia di spionaggio e certamente non racconta una storia d'amore. Anche la sinossi proposta non corrisponde a quanto effettivamente succede nel romanzo: il protagonista Alëša è un provetto sicario non più giovanissimo che vuole lasciare l'associazione criminale per la quale lavora, ma non per degli scrupoli morali dell'ultima ora, quanto piuttosto perché prova la necessità fisica di uccidere e il suo capo da un po' lo sta lasciando a riposo dopo aver deciso di entrare in politica e -quindi- di dare una ripulita alla sua reputazione.
Da queste premesse parte la storia: Alëša chiede al boss Rakov di "andare in pensione" e questi gli propone un ultimo lavoro per poter guadagnare un bel gruzzolo e concludere in bellezza la sua sanguinosa carriera. L'uomo dovrà eliminare Marta, la figlia di un simpatizzante della Fratellanza che rischia di mettere in dubbio la facciata di ultra democratico di Rakov; nel mentre, il nostro protagonista dovrà occuparsi anche di formare il suo sostituto, ossia l'ex militare Ivan.
La trama è priva di spunti originali (specialmente se guardate spesso film d'azione o simili) e viene smossa solo da un colpo di scena a metà volume che risulta imprevedibile non tanto perché sia ben studiato, bensì per la sua totale casualità: avrei trovato più logico che il protagonista arrivasse a fare questa scoperta tramite un suo ragionamento, ma invece tutto viene rivelato con tranquillità e in modo randomico.
Tutta la narrazione presenta delle scene molto sopra le righe, in cui vengono inserite battute d'effetto irrealistiche o raccontati aneddoti evidentemente esagerati,
«"[...] Sai perché sono rimasto in piedi? Perché quel giorno avevo addosso un paio di pantaloni nuovi di zecca e non volevo sporcarmeli. All'epoca la mia vita per me valeva meno di un paio di pantaloni, tutto qui."»
e in generale il comportamento dei personaggi ricorda quello che potremmo vedere in un film d'azione piuttosto che tra le pagine di un romanzo. Se non ne perdere la godibilità della storia, sicuramente viene inficiata la sua credibilità perché reazioni come questa:
«Ivan avvicina la mano alla bocca, come se volesse impedire alle parole di uscire.»
sono più facili da immaginare se filtrate dallo schermo di un televisore, che aiuta a sospendere maggiormente l'incredulità; in un testo scritto il lettore ha tutto il tempo per capire che queste reazioni sono troppo meccaniche.
Come anticipato, la storia d'amore è quasi inesistente: se non fosse tanto citata (perfino su Wikipedia questo titolo viene riassunto con la frase "le vicende di uno spietato killer che finisce con l'innamorarsi") non mi sarei neppure accorda del grande amore tra Alëša e Marta. Ovviamente si tratta di un insta-love, quindi lui la vede e parte per la tangente,
«Ogni secondo che passa in sua presenza Alëša si sente più a suo agio, come se la conoscesse, come se il loro piccolo scambio di parole fosse soltanto il seguito di un dialogo più profondo, cominciato molto tempo fa.»
mentre a lei servono addirittura quattro chiacchiere assieme per... professare il proprio amore incondizionato? non proprio, ma gli sguardi densi di significato si sprecano.
Il cast si compone di Alëša, Ivan e parecchie comparse fatte con pratiche sagome di cartone e ricoperte dai più abusati cliché: i russi mafiosi cattivi che uccidono per noia e sono pronti a farsi le scarpe l'un l'altro, gli zingari nascosti tra i rifiuti a cui devi provare di essere un vero duro, i politici di ogni nazionalità sempre corrotti fino al midollo, i militari e i poliziotti altrettanto corrotti, tutte le donne desiderose di darsi alla prostituzione, con l'unica eccezione di Marta. E proprio quest'ultima è il personaggio che più mi ha lasciato perplessa, perché la sua presenza è quasi ininfluente ma Lilin spreca pagine preziose per parlarci della sua situazione familiare e della passione per i numeri (?), tutti dettagli privi di utilità; è incredibile anche la serenità con cui la donna accetta quanto le succede,
«"Preferisco non sapere di che cadavere state parlando, [...]"»
e la sua tirata finale sul tema -del tutto fuori luogo- del ricordo.
Alëša ha la migliore caratterizzazione, e ho apprezzato la scelta di descrivere le sue azioni in modo schietto, senza tentare di dipingerlo come un eroe romantico. Non mi ha troppo convito invece la sua forzata passione per la lettura,
«E fuori dalla violenza trovò un solo conforto: la letteratura. Gli unici momenti in cui si sentiva vivere erano quelli passati a leggere.»
e neppure il fatto che, subito dopo aver incontrato Ivan, diventi all'improvviso un gran chiacchierone pronto a raccontare tutte le sue imprese per pagine e pagine di monologhi surreali. L'aspirante killer d'altronde era per me il personaggio più interessante, almeno fino a quando l'autore non lo distrugge attribuendogli la motivazione più patetica possibile, per dargli poi una risoluzione insoddisfacente.
Stilisticamente il romanzo è scorrevole e si nota l'impegno che l'autore ha infuso nella ricerca dei termini giusti, soprattutto nelle metafore che abbondano nella narrazione; alcune sono originali e gradevoli,
«Il senso di liberazione lo ubriacò e gli aprì due enormi ali sulla schiena. La strada dal parco a casa la fece volando, [...].»
ma nella moltitudine scivola spesso sul già visto. Sembra che Lilin ne abbia inserite così tante per farne un tratto distintivo, ma per conto mio bastava tranquillamente il suo continuo mettere in mostra le conoscenze tecniche sulle armi. Ad esempio, dopo questa frase introduttiva:
«Alëša annuisce, conosce bene quell'arma. Modello più compatto della classica 17, calibro 9 per 19, roba da militari e poliziotti.»
segue una disquisizione sulla validità delle diverse pistole lunga un paio di pagine e, neanche a dirlo, del tutto inutile ai fini della trama.
Indicazioni utili
- sì
- no