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Un atto d'amore
Lettura di un po’ di anni fa, uno dei miei libri preferiti, in cui tra l’orrore, il dolore e l’abbandono c’è sempre uno spiraglio per la speranza e per l’amore. Dal libro, ispirato alla storia vera del suo autore, il giornalista Franco di Mare, è stata tratta, nel 2015, la fiction “L’angelo si Sarajevo”con (il sempre bravo) Beppe Fiorello.
È dicembre 2009 e Marco De Luca si sta preparando per andare al lavoro quando riceve una telefonata. “Dobro jutro brate”: Marco sa a chi appartiene quella voce che risveglia in lui emozioni, paure e suoni di tanti anni prima. È Ljubo che gli dice che Edin sta morendo e ha chiesto di lui. Così ritorna lì, a Sarajevo, dove “all’apparenza è tutto uguale, ma in realtà niente è uguale a prima.”
Con Marco torniamo indietro nel tempo, è il 1992: lui è un giornalista italiano il cui matrimonio con Bianca è finito: “… si chiese per quale ragione alcune donne spendano buona parte della loro vita cercando di cambiare la persona che hanno accanto. E spesso ciò che maggiormente detestano è proprio quello che un tempo le attraeva di più.” Visto che a casa, ormai, Marco non ha più nessuno ad aspettarlo, quando glielo propongono, lui accetta di recarsi a Sarajevo, in Bosnia, come inviato speciale. Sale a bordo del G-222 dell’Aeronautica militare italiana, un viaggio “Dal paradiso all’inferno in un giro di valzer”: sospinta dall’assurda ideologia della pulizia etnica, dall’altra parte dell’Adriatco, è scoppiata la più cruenta guerra fratricida che l’Europa si ritrova a vivere dalla Seconda Guerra Mondiale.
Le sue pagine sono la testimonianza delle atrocità che, come ogni guerra, anche quella di Sarajevo porta con sé: mancanza di generi di prima necessità, mercato nero, case distrutte, donne violentate, cecchini appostati che si sentono il “Dio della Morte”, “l’Angelo sterminatore, quello che decide chi morirà oggi”, bambini “sgozzati e gettati giù da un ponte nella Drina”, granate che non risparmiano neppure gli orfanotrofi.
Ma il libro è anche il racconto della storia personale di Marco, della sua paternità che non è un legame di sangue ma un atto d’amore. Infatti, proprio mentre sta realizzando un servizio su quanto accaduto all’orfanotrofio di Ljubica Ivezic, fa l’incontro che gli cambia la vita. “Malina girò completamente la testa, lo guardò negli occhi e gli regalò il primo sorriso della giornata”.
Portarla via da quell’inferno è forse la cosa più giusta che lui possa fare dopo tanto tempo. Edin e Anisa gli chiedono se sia davvero sicuro della sua scelta, Marco insiste. Non sarà facile: il tempo, la burocrazia e la guerra non sono dalla sua parte…
“Stava dormendo con una bambina, anzi, con la sua bambina al fianco. Ora… capì che cosa volevano dire Anisa ed Edin quando gli parlavano di responsabilità. Malina non gli aveva chiesto di essere portata via, ora che lui lo aveva fatto, lei gli si affidava… Sarebbe stato all’altezza?... Ce l’avrebbe fatta, certo che sì.”
Perché, in fondo, essere genitore non è procreare, è proteggere, rassicurare, dare il meglio che si può, che si sa dare. Con amore. Per amore.
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