Dettagli Recensione
Umanità e disumanizzazione
La Vita Agra è un libro precursore. No, non mi riferisco alla sporadica metafora calcistica sul marcamento a zona inteso come espediente per far carriera (io, che di pallone non capisco un granchè, ero convinto che prima di Sacchi non esistesse che il marcamento a uomo, per questo mi sono stupito nel sentir parlare di zona in un libro dei primi anni 60; qualche esperto magari mi faccia da federicobuffadeipoveri e chiarisca la questione nei commenti; fine digressione frivola). Con precursore intendo soprattutto che anticipa temi cari alla contestazione giovanile di fine anni 60 e costituisce quasi un presagio degli anni di piombo.
Che sia un romanzo eversivamente moderno lo si capisce già nelle prime pagine per via dello humour di cui è oggetto il clero, anche se poi alcune battute su invalidi, “negri”, “ebrei”, “meridionali”, “Pisani” e “segretariette” lo scagliano a tutta velocità ad un’epoca geologica che appare distantissima dalla nostra, così pregna di politically-correct d’importazione.
Dunque, uno scritto ambientato negli anni del boom economico, da cui traspare un’incredibile consapevolezza dei tempi che si stanno vivendo. Per giunta i temi trattati sono davvero numerosi: sfruttamento del lavoro, insurrezionalismo, anarchismo, vita di partitio, passaggio da società contadina ad industriale, crescita del settore terziario e nascita di nuove professioni, lavoro in proprio e lavoro dipendente, vita aziendale, indifferenza e solitudine nelle grandi città, alienazione, costante difficoltà ad arrivare a fine mese, evoluzione della famiglia, ruolo della donna, nascita della società dei consumi, rapporto tra pubblicità e sesso...
La scena è costituita dalla Milano imprenditoriale e pendolare del Miracolo, anzi più precisamente il quartiere fittizio Braida, che in realtà di fittizio ha solo il nome; si tratta infatti della zona di Brera, in cui Bianciardi ha lavorato e vissuto per diversi anni; chi ha famigliarità con Milano pare che tra le righe riesca a riconoscerne le vie (si possono scovare i luoghi precisi qui: www.rivistastudio.com/la-milano-da-leggere/).
Letto durante il lockdown da Coronavirus accresce la voglia di uscire a passeggiare o a prendere un caffè, specialmente nella rappresentazione di sonnolente domeniche d’altri tempi.
Con le sue osterie, i suoi bevitori, giocatori di carte, pittori e canzoni, non è certo il quartiere di oggi. Ma nonostante questo tocco bohémien, la città appare fondamentalmente grigia, al contrario dell’atmosfera del racconto, che è quasi sempre scanzonata.
È questa una Milano già “cosmopolita” relativamente alla società del tempo, diciamo così, con cittadini provenienti da diverse parti d’Italia.
L’ambientazione particolareggiata, i personaggi ispirati a persone reali e gli innumerevoli aneddoti tratti da esperienze di vita vissuta rendono questo romanzo in larghissima parte autobiografico.
La scrittura, caratterizzata da un tono scherzoso eppur amaro, ha un buon ritmo e procede abbastanza veloce. Oltre al voler puntare i riflettori su importanti tematiche presumibilmente ancora inedite, si percepisce come si prenda in giro uno spaccato di società per divertire e ci si riesce. Lo stile rimane ironico perfino nei riferimenti letterari, rendendo alcune divagazioni per nulla pompose anzi piacevoli.
Fa sorridere l’uso italianizzato di parole o nomi stranieri, come “fotoreportagio”, “Jaques Querouaques” (francesizzato in questo caso)...
In conclusione, un’opera probabilmente nata da disillusioni, ricco di spunti di riflessione, politico, destabilizzante, cinico, umoristico-esistenziale, scritto in piena coscienza e con una lucidità a tratti disarmante.