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La metà che crea l'intero
«O Pamela, questo è il bene dell’esser dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divento, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.»
Identità. Chi siamo davvero? Come riconoscerci, come delinearci? È forse questo, ma non solo questo, il fulcro di “Il visconte dimezzato”, il lungo racconto a firma Italo Calvino che, attraverso una situazione grottesca e anche divertente, porta il lettore a interrogarsi su molteplici tematiche sottese.
Il suo nome è Medardo di Terralba ed è partito alla volta della Boemia per combattere contro i turchi. Tuttavia qualcosa va storto, il mito e la leggenda parlano di una parte del suo corpo esplosa nel nulla, volatilizzata, tanto che egli torna al suo regno semplicemente dimezzato. Ma attenzione, perché a far ritorno nei luoghi del reame non è la parte buona quanto una parte malvagia dell’uomo. Perché non solo è stato dimezzato il suo corpo ma anche la sua indole, una indole che per questo è stata epurata di ogni bontà e ogni spirito di benevolenza.
Terralba diventa dunque il teatro delle malefatte del Profilo Gramo, del suo tormento ai lebbrosi e agli abitanti ma anche alla sua presa di posizione verso Pamela che dichiara di amare e che per questo vuole sposare senza che ella possa sottrarsi alla sua volontà. Nel mentre il Profilo Buono, nelle vesti di un vagabondo, torna negli stessi luoghi in cui abita l’altra metà e con la sua indole generosa inizia a rattoppare quanto da quell’altro distrutto. Anche in modo troppo amorevole tanto che infatti parte della popolazione tanto non può vedere il malvagio, tanto non tollera il virtuoso. L’unica cosa sulla quale entrambi sono d’accordo è il dato che per poter davvero capire la realtà necessario è esser dimezzati. Soltanto così il quadro che ci circonda potrà davvero assumere la sua forma completa con tutte le sue sfumature e tutte le sue peculiarità.
«Così passavano i giorni a Terralba, e i nostri sentimenti si facevano incolori e ottusi, poiché ci sentivamo come perduti tra malvagità e virtù ugualmente disumane.»
Una storia semplice, in apparenza, una storia che si presenta quasi come una favola ma che al suo interno, sotto tutti i suoi abiti abbraccia temi da sempre cari agli uomini e a quel mito che spesso li fa sentire detentori di verità assolute e definitive, univoche. Eppure, sono proprio quelle imperfezioni e quelle incompletezze che ci rendono capaci di osservare davvero, che ci permettono di capire il mondo, che ci consentono di volgere anche uno sguardo fatto di comprensione e pietà e non esclusivamente di giudizio a quel che abbiamo accanto. È forse questo l’unico modo per non restare disancorati, distaccati dalla realtà e ancorati a fuochi fatui.
Una rilettura a cui torno dopo oltre diciotto anni e che riassaporo con lo stesso spirito del tempo che fu. Perché tutti, alla fine, abbiamo bisogno di sentirci dimezzati per trovare la nostra completezza.
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Bella lettura e sentita recensione, Mary!
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