Dettagli Recensione
Lascia il tuo sguardo libero, raccontati il mondo.
«Dalla morte. Dal dolore.
Salvezza per tutti i miei amori.
Salvezza per il mondo.»
Daniele ha appena vent’anni per le tante domande che lo attanagliano. Perché alla fine, Daniele, non cerca altro che risposte. Risposte a quel vivere così doloroso, a quelle perdite che spezzano altrettante esistenze e legami, a quelle ingiustizie che fanno sopravvivere i genitori ai figli, che portano al sacrificio mai ricompensato. E allora, perché vivere? Che senso ha vivere? Perché un senso deve pur averlo, un significato ci deve pure essere. Come la spieghi altrimenti la morte, come fai ad andare avanti quando il legame viene spezzato, quando perdi tutto?
«Che cura può esistere per come è fatta la vita, voglio di', è tutto senza senso, e se ti metti a parla' di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca' un significato? Perché devo avere bisogno di un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo mori'.»
E a volte quel bisogno di risposte è tale da portare a gesti inconsueti, eccessivi, distruttivi. Autodistruttivi. Perché arrivi a millantare di farla finita, di smetterla con questo mondo così duro e ingiusto, perché arrivi a dire semplicemente basta. Ma qualcosa va storto e a pagarne le conseguenze sono i tuoi genitori, ma prima ancora tu. Tu che perdi il controllo, tu che sei sopraffatto dalla rabbia e dall’amarezza, tu che ti sei lasciato andare all’alcol e alle droghe che hai assunto per non sentire il dolore, per non sentire quel malessere che covi nel cuore e che resta lì. Che schiaccia i battiti, che è onnipresente nella mente, che rende quel vivere la fatica più grande.
Tuttavia, per ogni azione vi è una reazione e quella che consegue alla tua perdita di controllo è un trattamento sanitario obbligatorio, un TSO. Ti risvegli in quel letto, con la mente appesantita, con il ricordo che è vergogna, con le telefonate che trafiggono, con quegli occhi che vengono a trovarti e che non hai il coraggio di incrociare e con loro, quei compagni di stanza che all’inizio giudichi pazzi e guardi con sguardo malevolo per poi renderti conto che sbagli a emettere sentenze, che sbagli a considerarli dei matti. Perché loro sono di quanto più vicino a te e in quella settimana scoprirai che sono l’amicizia più vera, che sono fratelli più autentici di quelli che hai ad aspettarti a casa. Ciascuno con il proprio essere. Madonnina con il suo chiedere aiuto alla santa perché ha perso l’anima, Mario con il suo passerotto alla finestra, Giorgio e Gianluca con quelle madri che li hanno marchiati nel passato con un addio mancato e che li marchiano nel presente con quella presenza così schiacciante, Alessandro con il suo sguardo fisso a mezza testa. Anime alle quali si sommano Pino, Alberto e Rossana, gli infermieri con quei turni fissi e Cimaroli e Mancino, i due medici del reparto, così diversi nella loro apparenza che mostrerà successivamente una nuova verità.
«Forse, questi uomini con cui sto condividendo la stanza e una settimana della mia vita, nella loro apparenza dimessa, le povere cose di cui dispongono, forse loro, malgrado tutte le differenze visibili e invisibili, sono la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitato d’incontrare.»
Una settimana che scandirà un percorso interiore di crescita, interrogazione e consapevolezza ma che sarà anche di più perché porterà il lettore ad auto-interrogarsi e al contempo ad avere una panoramica di quella che è la degenza psichiatrica, la cura per quelle persone a cui viene negata la cosa più semplice: l’ascolto. Quasi come se non esser “sani” fosse una condizione marchiante al punto da relegare questa facoltà esclusivamente a chi non affetto da patologia.
«Perché i matti, i malati vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani.»
Al tutto si somma uno stile limpido, fluido, diretto, emotivo che suscita empatia. Un titolo che si divora in appena un paio di giorni ma che lascia il segno.
«Ma non sono proprio io a desiderare un significato per tutto? Se fosse proprio questa la radice?
Piantata talmente a fondo da sentirla senza poterla vedere. Perché non posso negarlo a me stesso. Io quella nostalgia la sento. La vivo. Come vivo l’incapacità di accettare il tempo che passa, di sentirlo posticcio rispetto a tutto quello che nel mio cuore vuole vivere per sempre. Mi ritrovo nuotatore sospeso nel mezzo di una fossa oceanica: io, puntino di vita senza approdo alcuno, sotto di me chilometri di acqua nera, gelida, pronti ad abbracciarmi per sempre.»
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Commenti
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Ne ho sentito parlare parecchio dallo Strega in poi , in genere bene. La tua valutazione è ulteriormente incoraggiante.