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Durante la seconda guerra mondiale, Malaparte che aveva già vissuto giovanissimo la guerra come volontario, a soli sedici anni, durante il primo conflitto ( si ricordi che morirà alla soglia dei sessanta anni in seguito alle lesioni polmonari da iprite) e che ne aveva criticato aspramente la conduzione con “Viva Caporetto” poi divenuto “La rivolta dei santi maledetti”, è un personaggio scomodo al regime. Dopo l’entusiastica adesione in prima linea, con la partecipazione alla Marcia su Roma, dopo l’accettazione dello squadrismo più bieco, dopo l’assassinio Matteotti - fu testimone a processo a favore dell’imputato principale – il colpevole materiale, non quello ideologico, dopo la rottura con Mussolini e la sua estromissione dal partito nel 1933 in seguito alla sua critica a fascismo e nazismo, lo ritroviamo corrispondente di guerra per varie testate giornalistiche, testimone diretto nei principali fronti, soprattutto quelli del nord Europa e dell’est più prossimo alla Russia: Finlandia, Polonia, Ucraina. Questo lavoro è la sintesi di quella esperienza, traslata in carta per i giornali e per una sua rivisitazione più letteraria in un manoscritto poi smembrato in tre parti consegnate al ministro di Spagna ad Helsinki, al segretario della legazione di Romania a Hensinki e all’addetto stampa della legazione romena nella capitale di Finlandia per poi giungere “dopo una lunga odissea” a Roma. A detta del suo autore è un libro crudele per il fatto che la grande tragedia della guerra offre uno spettacolo unico che la sua penna non esita a cesellare e a rendere ancor più crudele con l’obiettivo di fare protagonista della scrittura non già la guerra, utilizzata come sfondo integratore, ma l’idea di disfatta , di rottura, di schianto secco che è quello prodotto dalla morte dell’Europa. Un’araba fenice che si spera risorga dalle sue ceneri. Quelle ceneri descrive il testo ma non come nel successivo “La pelle” , a posteriori, nell’onda lunga del passaggio dello tsunami bellico devastante, ma in divenire, negli anni compresi tra il 1941 e il 1943 quando, caduto il regime, Malaparte farà rientro nella sua villa a Capri per concludere l’ultimo capitolo dello scritto, il più simile a “La pelle”. Le altre pagine in realtà non lo sono, manca il lirismo, manca la teatralità, emerge invece un disperato bisogno di raccontare che ha la meglio su tutto. Malaparte si rappresenta infatti alle prese con conversazioni che intrattiene con personaggi eminenti: ambasciatori, principi, funzionari, e l’oggetto del suo narrare è sempre una crudele e disturbante galleria di impressioni, visioni, fermo immagini che restituiscono un complicato insieme di cui però non riesce a superare la frammentarietà. Sono quadri singoli, feroci, oggettivi e al tempo stesso visionari, comprendere dove termini la realtà, nuda e cruda, e dove intervenga il surrealismo visionario non è semplice. Può trattarsi di un canestro contenente ventimila occhi umani scambiati per ostriche prive di guscio, o di busti di soldati emergenti da una landa immensa e innevata posizionati col braccio teso, congelato, a mo’ di segnaletica o ancora cavalli anch’essi congelati nel Ladoga le cui acque ghiacciate restituiscono solo la testa, in superficie, in attesa di un disgelo che li restituirà come sfatte e marcescenti carcasse. Ci sono poi le condizioni disperate del ghetto di Varsavia, le notizie dei pogrom, i tentativi di aiutare qualcuno, se possibile. In realtà proprio questo aspetto è particolare perché Malaparte è dentro le stanze degli ufficiali tedeschi e conversa con loro o si intrattiene con l’invasore nelle residenze più ricche delle terre conquistate e contemporaneamente accoglie e riporta le storie dei vinti, dei conquistati, dei piegati e in modo, rappresentato sempre come fosse un fatto del tutto fortuito e occasionali, diretto li aiuta. Difficile capire, difficile trovare una collocazione al bene, in questo caso. Tutto è passeggero, irreale e tremendamente vero; la scorza narrativa non chiarisce, lascia perplessi, attoniti; restituisce probabilmente le contraddizioni implicite al fenomeno bellico. Tutto è secco, schiantato, kaputt.
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Si tratta di un autore che non m'incuriosisce affatto. Pertanto non l'ho mai letto.