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Di generazione in generazione
Un lavoro ambizioso questo romanzo di Giorgio Fontana che nel solco di una tradizione forse più europea o sudamericana piuttosto che italiana, scrive un libro imponente e importante. Non tanto per la quantità di pagine (quasi 900) bensì per l’ottimo risultato nel raccontare la saga familiare dei Sartori nell’arco temporale di quasi cent’anni di storia italiana. Quattro generazioni che si susseguono, partendo da Maurizio Sartori, che decide di disertare nel 1917 in pieno conflitto mondiale, ed arrivando fin quasi ai nostri giorni, nel 2012, quando la bisnipote si reca sulla sua tomba come si chiudesse un ideale cerchio. In mezzo a tutto questo emerge il destino della famiglia Sartori che “aveva costruito una nave partendo dal poco legno disponibile: di generazione in generazione era uscita dal fango e dall’oscurità, alzando alberi, tessendo vele, rinforzando lo scafo”. Il paragone con la nave che viene costruita e rinforzata per resistere al mare periglioso è ben azzeccato. I Sartori infatti lottano, cercano il loro posto al sole, hanno sogni di autorealizzazione che variano a seconda dei momenti storici ed alla personalità che li contraddistingue. Tutti quanti risultano però in qualche modo accomunati da un profondo senso di inquietudine che si manifesta col desiderio di una fuga perenne: per paura, per protesta, o semplicemente per dare un senso alla propria esistenza alla ricerca di un riscatto sociale. In particolare è la seconda generazione della famiglia quella che pone le basi per il grande cambiamento. Sono i fratelli Renzo e Gabriele sopravvissuti alla tragedia della seconda guerra mondiale ad abbandonare la terra natia, il Friuli rurale, diventando così protagonisti di quel fenomeno migratorio che spinge masse di italiani verso la Lombardia e l’hinterland milanese in cerca di fortuna. Sullo sfondo di un’Italia tumultuosa, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, attraversata da rigurgiti di violenza anarchica e fascista, da rivendicazioni sindacali, dalla lotta di classe o dal semplice desiderio di un posto di lavoro dignitoso,
Fontana tratteggia le sorti dei Sartori travolti dai grandi eventi della storia e dai piccoli eventi famigliari ma comunque mai domi (“Il mondo era più forte di tutti loro, o forse loro erano così testardi e stupidi da non sapere come viverci in pace. Eppure non si arrendevano. Nemmeno di fronte alla sventura, alla malattia, alla solitudine: l’indomito spirito dei Sartori”). Scorrendo le pagine della “saga familiare” diventa difficile non provare empatia e solidarietà nelle vicissitudini dei Sartori individuando come comune denominatore intergenerazionale quella “sofferenza” che pare conservarsi e diffondersi tra i discendenti e le epoche storiche, seppure in modalità differenti (“La sofferenza si conservava proprio come l’energia. I loro nonni, e in una certa misura i loro padri, avevano dovuto sopportare il dolore fisico, fame e freddo e povertà o comunque una qualche privazione; e ora che questo dolore era terminato, a loro spettava un destino di ferite interiori….Nessuna guerra che meritasse di finire tra le pagine di un libro: solo una costante paura del futuro, e forse un altrettanto grande timore nel voltarsi, per rimanere pietrificati”).