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Che fare?
I "cafoni", scrive Ignazio Silone, sono asini che ragionano. A forza di seguire questa brutta abitudine, hanno capito alcune cose: che c'è sempre da pagare, innanzitutto; che dove non si paga c'è imbroglio; che quando c'è la guerra si paga di più. La cosa più importante che hanno capito è che i padroni cambiano e cambiano i governi, ma il giogo, per loro, per i poveri cafoni, è sempre lo stesso. Le prepotenze dei fascisti avranno un colore diverso da quelle dei piemontesi, che a loro volta hanno un colore diverso da quelle dei Borbone, ma sempre prepotenze rimangono. Tutto cambia, tutto resta uguale in un mondo scandito dalla fatica sempre uguale, dalle stagioni sempre uguali, dai lavori dei campi sempre uguali, dalle giornate sempre uguali tra casa, bestiale fatica, quattro chiacchiere all'osteria per capire qualcosa di cose che resteranno per sempre avvolte nel buio misterioso della legge, della politica, dell'economia e che lasciano i cafoni sempre e comunque poveri, disperati, ingannati, sfruttati. Vittime, prima che dei padroni, di un'ignoranza così profonda da renderli del tutto inconsapevoli dei meccanismi che determinano la loro condizione, e così diventano, per assurdo, quasi complici di coloro che li ingannano e li opprimono. I cafoni sanno bene cosa siano la povertà e lo sfruttamento, la fame è tutto ciò che conoscono e mai conosceranno, ma parole come governo, elezioni, dittatura, democrazia non sono altro che questo, parole. L'unico significato che possono avere è il solo che i poveri cafoni sanno dare alle cose: che per loro la speranza non esiste.
I cafoni sono giunti dalla prospettiva opposta alla stessa conclusione del Tancredi di Tomasi di Lampedusa: se i potenti fanno in modo che le cose cambino nel modo giusto, quando non si può più evitare che cambino, tutto resterà uguale e loro continueranno a imbrogliare, arricchirsi e comandare mentre i cafoni continueranno a piangere sangue nelle loro misere case simili a grotte, nelle strade polverose, nei campi riarsi bruciati dal sole. La prospettiva non è quella di una futura classe dirigente, certo, ma il concetto non cambia, proprio come non cambierà la magra esistenza dei cafoni: da una vita di disperazione non esiste riscatto. E se qualcuno, più coraggioso, più disperato o più pazzo degli altri prova a ribellarsi, a reclamare il diritto al lavoro, alla terra, alla vita, che succede? Le bandiere fasciste, nere e con i teschi, il colore e il simbolo della morte, annunciano la risposta.
Che fare, allora, se sembra che non esista speranza? "Che fare?", come il nome del giornale che i fontamaresi si mettono in testa di stampare (e forse non a caso è anche il titolo di un celebre saggio di Tolstoj proprio sulla povertà e lo sfruttamento delle masse umili), firmando così una condanna a morte, per denunciare i soprusi del governo fascista, una creatura misteriosa che li ha posti davanti a qualcosa di completamente nuovo? Perché anche prima c'erano i ladri, gli assassini e gli stupratori, ma questa volta agiscono nel nome della legge e del governo, che li ha accolti tra le proprie fila. E allora davvero non può più esserci nessuna speranza. Che fare, dunque, quando tutto è inutile? Che fare?
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