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Nei panni del Riccetto
La miseria è tanta e la pancia è sempre vuota nel mondo delle borgate romane, negli anni del secondo dopoguerra. Eppure, ad accoglierci in queste pagine non è l’asfissiante e annichilente dolore della fame, bensì un’aria di genuino entusiasmo e spontanea vitalità. Riccetto, Agnolo, Marcello e gli altri sono solo dei ragazzini, vivono in catapecchie o scuole occupate e gironzolano tutto il giorno tra sterri fangosi, immondizia e prati carbonizzati in cerca di espedienti. Raccattare ferrivecchi da rivendere. Rubare, a chiunque, persino ai mendicanti. Il tutto per raggranellare qualche lira, magari da bruciare subito dopo con una scommessa, un bagno nel Tevere o una prostituta. Eppure, nel loro mondo primitivo e amorale, c’è spazio anche per gesti di inattesa tenerezza e autentico candore.
Nel corso delle pagine, gli anni passano, i ragazzi crescono e il mondo cambia. Al Centro si respira una nuova aria di ricchezza e persino nelle periferiche realtà del sottoproletariato si materializzano nuove esigenze e nuovi bisogni. Una fame diversa, da placare come si può, senza un lavoro o un progetto di vita, ma strappando i brandelli di quel benessere lontano, raschiando con le unghie un po’ di scorza dorata. Anche le pagine si colorano così di tinte sempre più torbide e opprimenti: compaiono le rivoltelle, le violenze in famiglia, il bullismo, la svendita del proprio corpo. E in questa nuova realtà, ancor più desolata e misera, non c’è più nemmeno spazio per la compassione, ma impera la nuova legge dell’egoismo.
"Ma perché voi beve er latte, mentre hai bevuto sempre l'acqua pura dei ruscelli! de li scoli neri!"
Nonostante, tra le pieghe di un narrato completamente imbevuto nella parlata romanesca, si possa talvolta intravedere la figura dell’autore, stregato nell’osservazione dei suoi ragazzi di vita, il tono con cui vengono raccontati i diversi episodi che compongono il romanzo è sempre neutro, senza abbellimenti e senza spiegazioni. È la verità delle borgate quella che Pasolini ci propone, una verità che parla da sola. Ed è proprio il realismo la vera forza di questo testo, la sensazione di indossare davvero gli inusuali panni del Riccetto e dei suoi compagni. Sono vestiti che calzano stretti, lacerano la pelle e chiudono il petto, ma è il più grande regalo che la letteratura sa farci, quello di permetterci di vedere per qualche ora il mondo da una prospettiva diversa, lontana dal nostro vissuto e dal nostro tempo. Solo apparentemente lontana, forse, perché, nella sua essenza, è una prospettiva in fondo ancora attuale.
“A Pietralata, per educazione, non c'era nessuno che provasse pietà per i vivi, figurarsi cosa provavano per i morti”.
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Manuela
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