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Un colibrì e la sua forza
Inizio questo mese la lettura dei dodici libri in finale per il Premio Strega 2020. Inizio per modo di dire, dato che il romanzo di Marta Barone "Città sommersa" l'ho già letto ad inizio anno, anticipando con la mia entusiastica recensione (qui) la candidatura al premio.
Inizio con un libro di cui ho sentito meraviglie, potendo decidere di leggerlo su supporto audiolibro grazie ad Audible, l'ho fatto: "Il Colibrì" di Sandro Veronesi (La nave di Teseo). Il libro è letto da Fabrizio Gifuni, attore che ho avuto modo di apprezzare in varie parti in vari film italiani degli ultimi anni: uno dei migliori attori degli ultimi anni a mio parere.
La storia narra di Marco Carrera, figlio della borghesia fiorentina, bambino con problemi di salute rasenti il nanismo (da qui il soprannome "Colibrì" affibbiatogli dalla madre Letizia), poi guarito. Dottore di oftalmologia, ex marito di Marina, padre di Adele, nonno amorevole e devotissimo, figlio e fratello.
La vita di Marco raccontata dalla sua voce, dalle lettere che per tutta la vita si è scambiato con il suo amore Luisa e da una voce narrante esterna ci racconta di difficoltà continue, perdite immense, dolori, lutti, amore, pazzia, aiuto, voglia di vivere immensa.
Non posso raccontarvi molto di più, perché rischio di fare spoiler non desiderati, che seppur non grandissimi colpi di scena, hanno comunque un posto ben preciso e molto importante nella trama del libro.
Il romanzo è fantastico.
Non so come mai io, in tutti questi anni non abbia mai avuto lo sghiribizzo di leggere qualcosa di Veronesi. Forse il fatto che ho iniziato a leggere narrativa italiana da pochi anni, forse l'atavica antipatia per lo scrittore che ho sempre reputato un po' troppo "autoriferito", ma, sta di fatto che, se proprio vogliamo dirlo, Veronesi è uno degli scrittori più talentuosi dell'ultimo ventennio e lo riconosco, cospargendomi il capo di cenere.
La trama è abbastanza semplice, anche se la costruzione temporale può risultare un po' indigesta per via del continuo saltare avanti e indietro nel tempo, anche di decenni. L'uso dei vari accorgimenti di cui sopra, rende il tutto ancora un pelo più difficoltoso ma non lasciatevi scoraggiare perché, fattoci il callo, la lettura è invogliante e molto coinvolgente. Veronesi scrive benissimo, riesce ad essere colloquiale ma ricercato e non annoia con inutili orpelli da "prof".
La storia raccontata è normale, per quanto possa sembrare anormale e tragica, è quella di una persona che vive in un mondo che non riconosce in quanto tale. Una persona che cerca di farsi andare bene quel mondo e quel destino che gli è stato donato il giorno della sua venuta al mondo. Seguiamo le vicissitudini di Marco Carrera come se fossero le nostre, chi più chi meno abbiamo tutti un momento - o più momenti - tragico in cui ritroviamo noi stessi o ci perdiamo per sempre.
Leggendo (ascoltando) questo romanzo mi sono ritrovata più volte a piangere e credo che, oltre alla storia narrata in sé stessa e la scrittura densa di significati - anche nascosti - di Veronesi, sia intervenuta anche la bravura immensa di Fabrizio Gifuni che recitando la parte del dottor Carrera come solo un attore può fare, ha contribuito a rendere tutto più emozionale. Badate bene, in sé stesso la storia raccontata è triste, ma si ride anche, non risate sguaiate naturalmente, ma risate a denti stretti. E si prova tutta una gamma di sentimenti che vanno dal dolore, all'amore, all'amicizia, alla tristezza, al cinismo, all'arrabbiatura, alla perdizione.
Tutto quello che un romanzo dovrebbe avere insomma e per questo, come avevo già precedentemente affermato, sono -quasi- sicura che questo romanzo finirà nella cinquina finale del Premio Strega. Non so se si merita di vincere, ma secondo me, la cinquina finale è sempre tutta vincitrice.
Per quanto riguarda me, andrò a recuperare i vecchi romanzi di Sandro Veronesi, chiedendo umilmente scusa per il mio comportamento e il mio preventivo e ingiustificato, accanimento nel non voler leggerlo.