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Io e te
 
Io e te 2020-05-02 17:00:58 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    02 Mag, 2020
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Due

Questo romanzo breve, e anche datato, la sua prima edizione risale, infatti, giusto a dieci anni or sono, è a mio parere, l’opera migliore di Niccolò Ammaniti, o almeno quello che meglio caratterizza l’arte dello scrittore romano.
In verità, per essere precisi, credo che il suo cult sia “Ti prendo e ti porto via”, più esaustivo, di cui questo “Io e te” è una versione ridotta, diciamo così.
Ambedue questi libri che ho citato sono la summa che lo contraddistingue, nell'indole narrativa e nella preferenza tematica, che lo definisce bene, per stile di scrittura, secca, decisa, precisa.
Il suo modo di scrivere, suo, originale, è mirabilmente descrittivo, di luoghi, ambienti e personaggi, ma non tanto in sé e per sé.
Non è, infatti, Ammaniti uomo da visione ampliata, finanche quando ci parla di campagne assolate, non svaria, bensì si esprime meglio, con efficacia, tramite i dettagli.
Così indugiando nei particolari, solo quelli essenziali, restituisce all'immaginario del lettore un quadro d’insieme, e questo suo modo di scrivere ne mostra, in sintesi, limiti e grandezza del suo iter di scrittore.
Personalmente, ritengo, infatti, Ammaniti non un bravo scrittore, ma un grandissimo scrittore; e però, per un verso o per l’altro, non riesce mai ad estrinsecare completamente ed esaurientemente tutte le sue potenzialità, che sono notevoli. E lo restano comunque.
Può apparire strano, dopotutto ha al suo attivo ben altri titoli, a cominciare dal suo testo d’esordio, il dissacrante e originalissimo “Branchie”, per poi passare per il cupo e cinico “Fango”, per giungere al notissimo “Io non ho paura”, quello che gli diede immediata popolarità tra il pubblico, anche grazie alla fortuna del film omonimo.
Senza dimenticare “Come Dio comanda”, vincitore del premio letterario che lo ha consacrato definitivamente come scrittore, per giungere al suo ultimo, controverso e discusso “Anna”.
Eppure Ammaniti mi lascia sempre un che d’incompiuto, di sospeso, a ogni sua lettura.
Intendiamoci, piace, ti prende e diciamocelo, ti porta via per davvero; e però vorresti sapere anche qualcosa in più sulla destinazione finale.
Ti lascia come se…avesse troncato all'improvviso, quando mancava giusto un ultimo step per un’eccelsa simbiosi tra lettore e scrittore.
In “Io e te” Ammaniti non parla di luoghi e persone, anzi, potremmo dire che scrive un breve testo da cui letteralmente traspare claustrofobia.
Nemmeno i protagonisti sono personaggi agli antipodi, come talora ha scritto altrove, tutt'altro, è come se descrivesse la stessa persona, la stessa solitudine estrema che alberga, in apparenza, in due.
Sono un “io e te” che non si fanno due per farsi forza, una sola è l’entità che li contraddistingue.
Niccolò Ammaniti è come se si ponesse a fianco di uno specchio, di profilo, rileva due immagini riflesse, descrive uno e uno che sono due perché non si sovrappongono, ma in realtà è lo specchio che è difettoso, perché deformante.
Lo scrittore si cimenta non con il racconto di due persone, s’immerge invece nell'età più difficile e delicata dell’umana esistenza, quella della prima adolescenza.
Età particolare per chiunque, anni in cui vieni dalle medie, e non sei ancora ragazzo di liceo pieno, tempi in cui l’insofferenza verso i primi affetti, quelli parentali, si stanno ormai sbriciolando con facilità. Non sono più sufficienti i genitori, i fratelli, la famiglia in senso stretto a riempire la tua sensibilità affettiva, ma nemmeno hai testa, modo, e anima per cercare le giuste alternative al di fuori di quell'ambito, che ti appare ormai liso, vuoto, inutile, finanche ossessivo, opprimente, fastidioso.
Succede un po’ a noi tutti: giunge l’età in cui ci affacciamo alla vita di fuori, non ne possiamo più di mamma che ci sta addosso o papà che manco si accorge che esistiamo, e allora desideriamo altro.
Desideriamo amici ma amici veri, intimi, intrinseci; non compagni di giochi, ma traghettatori, compagni con cui condividere le emozioni esterne, e senza sapere bene come o perché nei particolari, cerchiamo…l’etica dell’esistenza.
L’altro. Il genere diverso. Il solo capace di indurci al narcisismo per apparire.
Per arrivarci, a questa nuova maturità affettiva ed esistenziale, servono gli amici, quelli nostri, quelli fidati. E se non riesci a procurarteli…soffri.
Questa è la storia del quattordicenne Lorenzo, che per questa sua difficoltà a intrecciare l’indispensabile empatia con i suoi coetanei, la sola che garantisce una sana crescita emozionale, soffre.
Sta male, si ammala, al punto da sviluppare un disturbo narcisistico di personalità.
Una vera e propria paura di essere. E cosa si fa quando si ha paura?
Si finge, si mente, e ci si da alla fuga, si scappa.
Letteralmente, con una scusa, Lorenzo si allontana da casa, ma non fa molta strada; si barrica in cantina, munito di viveri e munizioni, libri di Stephen King e playstation nello specifico.
Si rifugia in quel luogo per trascorrere di nascosto un po’ di tempo da solo, anzi non da solo, ma in compagnia della sua solitudine, fingendo con tutti una sua presunta normalità, quella cioè di avere amici con cui si è allontanato per trascorrere una settimana bianca sulla neve.
Sennonché, per tutt'altri motivi, nello stesso microcosmo, nella stessa cantina, si rifugerà Olivia, la sua sorellastra, di qualche anno più grande.
Olivia non è che la versione più matura di Lorenzo, di altro genere, ma il tipo di persona, distruggente e distruttiva verso se stessa, che Lorenzo rischia seriamente di divenire.
Attraverso un testo tutto dialogato, con linguaggio diretto e informale, “io e te” si ritrovano dapprima a scontrarsi, e poi a confrontarsi su svariate tematiche, come quello delle dipendenze dalle droghe, l’accettazione di sé, l’omologazione nel gruppo, la famiglia, gli amici, gli amori sbagliati, in estrema sintesi sull'adolescenza, ed i problemi che essa comporta quando ci arrivi impreparato, senza il necessario supporto affettivo, senza gli strumenti giusti per crescere in modo sano, equilibrato, armonico.
Attraversare l’adolescenza senza una preventiva preparazione, equivale a lanciarsi in acqua sapendo qualche nozione di nuoto, ma senza conoscere correnti e profondità. Si rischia, come sempre quando si è soli.
Sono “io e te”, sono ciascuno con la propria solitudine, solitudine che altro non è che un disperato bisogno di amore, quello non ricevuto.
Quando due solitudini s’incontrano, però, non è che si sommano, ne fanno una più grande, no. Accade che una si riversi completamente nell'altra, lasciando a chi ne resta privo, spazio per un’empatia futura, quindi speranza per il futuro.
Questo è quanto accade nelle struggenti righe finali, dico righe e non paragrafi, qui Ammaniti dà chiaramente il meglio di sé, indicandoci che se un vincitore c’è, è chi ha realizzato la sua crescita.
E chi no.
Così, qui e ora, Niccolò Ammaniti mostra tutto il suo talento.
Lasciando il lettore coinvolto ed emozionato, tanto e bene.
Però chi scrive desidererebbe anche altro, ecco, ancora un po’. Sarebbe l’apoteosi.


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