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Cronaca di una morte avvenuta
Dorotea Giglio sta morendo. Coi suoi venticinque anni e pochi esami alla laurea, una vasca da bagno colma d’acqua ed il rasoio che recide le vene. I lunghi capelli sottili fluttuano mentre l’acqua si tinge, fredda e purpurea, ormai. Dorotea Giglio resta con noi, sebbene la sua vita sia stata stroncata dal suicidio.
Il corpo rigido in balia della terra e delle sue creature, che voraci si cibano delle carni putrescenti. Mosche che depongono uova, larve che scivolano su lembi di pelle, ossa che si sgretolano polvere eravamo e polvere torneremo.
L’anima invece resiste all’infierire della lama, non c’è pace non c’è redenzione, vaga nei luoghi conosciuti e incontra le persone di un tempo, l’incomunicabilità di quando viveva rimane tale. Dorotea che si sentiva invisibile, assetata di attenzioni e affetto diviene oggi emblema di assenza e sofferenza, priva del suo corpo e piu’che mai immateriale, inevitabilmente evanescente ogni suo sforzo di interazione. La sua compagnia trai i vivi sono ora solo i morti, che popolano il Paese rimpiangendo quelle sensazioni ormai inarrivabili, sempre piu’ ammantate di nostalgia.
Forse vorrebbe essere la celebrazione della vita quando ormai l’unico scenario e’ soccombere, oppure è la morte che non riesce a recidere pienamente il cordone che la lega alla vita. Potrebbe essere la rivisitazione del mondo che verrà dopo la dipartita, quando esseri viventi e fantasmi convivono loro malgrado in un’esistenza di dolore e perdita, di rimpianti e attese.
Lettura scorrevole, Di Grado sa scrivere bene ma il soggetto non mi ha colpita e l’arrancare di questa giovane anima tormentata mi ha lasciato in un limbo, il mio malessere inciampava sul fastidio per poi ruzzolare addosso all’indifferenza.
Probabilmente non l’ho capito, senz’altro non mi è piaciuto.