Dettagli Recensione

 
Storia del nuovo cognome
 
Storia del nuovo cognome 2020-04-16 16:52:04 lego-ergo-sum
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
lego-ergo-sum Opinione inserita da lego-ergo-sum    16 Aprile, 2020
Top 500 Opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

CONCERTO PER DUE SOLISTE E CORO

Contiene qualche anticipazione della trama

“Stefano le disse freddo: calmati. Lila si girò di scatto: calmarsi dopo che lui aveva gettato la colpa su suo padre e suo fratello, calmarsi quando tutt’e tre l’avevano trattata come una pezza per lavare il pavimento, come una mappina? Non mi voglio calmare, gridò, strunz, riportami subito a casa mia, quello che hai detto adesso lo devi ripetere davanti a quegli altri due uomini di merda. E solo quando pronunciò quell’espressione in dialetto, “uommen’e mmerd”, si accorse di aver spezzato la barriera dei toni composti di suo marito”.
Due elementi emergono da questo frammento del romanzo, situato nel pieno di uno dei frequenti litigi che porteranno i due a dividersi: i rapidi trapassi dal discorso indiretto all’indiretto libero fino al discorso diretto, senza marca di punteggiatura o con minimi indicatori a segnalarlo, e l’uso di un italiano parlato, nel quale è sempre presente, come già avveniva in Verga con il catanese, il fantasma del dialetto napoletano, anche qui un “dialetto trascendentale”, con i suoi ritmi, con i suoi giri sintattici, con il suo lessico, talora trascritto nella lingua nazionale, talora esplicitamente citato: l’espressione “uomini di merda” viene tradotto dalla stessa voce narrante, gli epiteti “strunz” e “mappina” vengono inseriti senza filtro alcuno. La Ferrante ha rinunciato all’uso pieno e continuativo del dialetto (che caratterizza invece gli splendidi dialoghi della serie televisiva, costituendone il principale punto di forza), ma vuole costantemente ricordarci che i suoi personaggi si esprimono in napoletano e che nel napoletano risiede la cifra più autentica dei loro sentimenti, delle loro violenze, rabbie, gelosie, sopraffazioni, debolezze, cedimenti obbligati, reazioni. Ecco un altro esempio, tra i tanti di cui l’opera è costellata, relativo alla inaspettata visita di Lila al bar dei Solara, per i quali nutre da sempre un’avversione profonda, ma ai quali vuole chiedere un favore per la sua amica: “Gli scambi verbali che seguirono furono tutti in dialetto, quasi che la tensione impedisse di darsi i filtri faticosi della pronuncia, del lessico, della sintassi italiana”. L’autrice ci avverte ancora una volta che le parole riportate, in realtà sono state pronunciate in dialetto, che anche lei ha utilizzato in fondo dei filtri per tradurle, ma soprattutto che i personaggi della sua creazione possono sì utilizzare l’italiano (siamo nella seconda metà degli anni sessanta, in piena modernizzazione), ma che la verità dei loro istinti, la profondità e il cuore del loro sentire, battono ben al di qua di ogni resa “faticosa” nell’idioma nazionale.
Diverso il caso della voce narrante quando il tempo narrativo rallenta ed Elena riflette su sé stessa, sull'amica, sugli altri, sulle cose che pensano e dicono: lo stile si fa allora più letterario, si arricchisce di accorgimenti retorici, tende talvolta al registro lirico, si avvale di una sintassi più complessa. E' un po' come se nei Malavoglia si alternassero il Verga della svolta linguistica, delle “parole che quagghiano”, e il narratore colto preverista di Eva o Tigre reale.
E’ dunque nei dialoghi, comunque resi, che consiste il segreto di questo impareggiabile affresco antropologico, nel quale si manifestano i meccanismi primordiali della lotta per il potere, il pregiudizio sessista e maschilista che vi è connesso, il ruolo subordinato della donna e le sue diverse reazioni dell’accettazione, dell’introiezione del pregiudizio maschilista (presente in Ada, Pinuccia e nelle altre donne del “coro”), dell’insubordinazione. Come ‘Ntoni nei Malavoglia, qui Lila e Lenù rappresentano l’infrazione alle regole comportamentali della tribù, un doppio che si articola in due diversi modelli di vita: Lila vive all’interno di questo mondo, ma lo corrode come il tarlo nel legno, è la mina vagante pronta continuamente a farsi e a farlo esplodere, mandandolo in frantumi quando i maschi con cui interagisce offendono la sua dignità, il bisogno di rispetto, la vana pretesa di parità e di eguaglianza. Lenù invece ha scelto lo studio, la cultura, i libri, la carriera intellettuale per uscire da questo milieu e in qualche misura rinnegarlo. Ma Lila è sempre divorata dal rimpianto per non aver saputo o potuto operare la stessa scelta, invidia l’amica per esserci riuscita, talvolta tenta di emularla, nutre un irresistibile desiderio di crescita culturale, intesse una relazione, quella con Nino Sarratore, della quale la voglia di imparare e di stabilire un dialogo culturale è parte integrante, ma poi, frustrata nel suo sforzo, elimina fin le tracce della sua predisposizione allo studio e alla creazione artistica, dando alle fiamme il piccolo romanzo che aveva scritto da bambina o mostrando indifferenza e disprezzo per la maestra Oliviero, che per prima ne aveva intuito le doti. Lenù d’altro canto è attratta continuamente dal ribellismo di Lila, dalle sue potenzialità intellettuali, dalla sua stessa dimensione istintuale e disinibita, cui non ha mai saputo pienamente attingere e che ella sospetta aver orientatato verso l’amica-rivale la scelta di Nino (di qui il cedimento animalesco a Donato Sarratore). Un gioco di rispecchiamenti che dà vita al duplice sistema dei personaggi su cui il romanzo si fonda: Lenù vs Lila; Lenù/Lila vs il coro dei personaggi, l’ambiente in cui sono nate, i familiari, i parenti, gli amici, gli abitanti del quartiere Gianturco.
La Ferrante ha scritto un romanzo sociale che, come tale, si inserisce nella tradizione naturalistica e realistica, studiando come in vitro il personaggio in relazione all’ambiente, seguendolo nel suo crescere e maturare, il che l’accosta al grande romanzo di formazione. E fa riflettere come, partite dalla medesima condizione, dal medesimo "habitat", le due protagoniste descrivano parabole di vita sempre più divergenti. Ma L’amica geniale, e questa seconda parte della tetralogia in particolare, sono anche un romanzo psicologico, il cui punto di partenza sono sempre i modelli comportamentali e antropologici dell’ambiente circostante, con i quali le due protagoniste interagiscono. Una sintesi felice di filoni diversi, che spiega forse la grandezza dell’opera e le ragioni del suo straordinario successo.
P.S. Poiché non riesco a correggere l'errore, il romanzo consigliato non è ovviamente L'amica fedele, ma L'amica geniale.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Il primo romanzo della tetralogia L'amica fedele; Eva e I Malavoglia di Verga.
Trovi utile questa opinione? 
80
Segnala questa recensione ad un moderatore

Commenti

Per inserire la tua opinione devi essere registrato.

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Identità sconosciuta
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Incastrati
Valutazione Utenti
 
3.8 (1)
Tatà
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il mio assassino
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
La vita a volte capita
Valutazione Utenti
 
4.4 (2)
Il dio dei boschi
Valutazione Utenti
 
4.1 (3)
La prova della mia innocenza
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)
Il sistema Vivacchia
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
Il passato è un morto senza cadavere
Valutazione Utenti
 
4.3 (2)
La mano dell'orologiaio
Valutazione Utenti
 
4.3 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

Di bestia in bestia
I qui presenti
La vita a volte capita
Errore 404
La stagione bella
Dimmi di te
Fumana
Nina sull'argine
Liberata
Un millimetro di meraviglia
Nannina
La neve in fondo al mare
Chiudi gli occhi, Nina
Magnifico e tremendo stava l'amore
Dove la luce
Il nostro grande niente