Dettagli Recensione
Un classico diverso
Soltanto un "non-scrittore" poteva raccontare la guerra con tale potenza evocativa. La guerra è realtà talmente sconvolgente da rendere inadeguato e sterile ogni esercizio letterario.
Il romanzo racconta in prima persona l'epopea di una divisione di alpini sul fronte russo durante la seconda guerra mondiale. Due grandi capitoli dividono la narrazione in una parte statica, "Il caposaldo", in cui si descrive la vita di trincea sulle rive del Don ed una parte dinamica ("La sacca") incentrata sull'eroica rottura dell'accerchiamento delle truppe sovietiche che consentì l'epica ritirata del Gennaio 1943.
Rigoni Stern, un giovane sergente alpino nato tra le amatissime montagne che attorniano l'altopiano di Asiago, cominciò a scrivere i suoi ricordi all'indomani del ritorno in patria per poi ultimare la stesura del romanzo durante il periodo di prigionia in un campo di concentramento tedesco che seguì l'armistizio dell' 8 settembre. La sua scrittura è limpida, anti-retorica e straordinariamente espressiva. Frasi concise spesso condite da espressioni dialettali, coinvolgenti descrizioni di natura ed ambienti, intenso ritmo narrativo, ci calano in quella realtà di sofferenza ma anche di traboccante umanità, con una sensibilità e veridicità raramente riscontrabili in racconti di guerra (Hemingway incluso).
Ed e' proprio l'umanità dei protagonisti a lasciare un segno indelebile nella memoria.
Commovente è l’addio alla "tana" che conclude la prima parte del romanzo. L'ordine di ritirata è giunto e l'intera armata si mette in cammino. Il sergente è l'ultimo ad abbandonare il caposaldo indugiando tra le trincee ed i miseri resti di quello che per mesi era stato il loro piccolo mondo. Nelle lacrime che salgono agli occhi del soldato c'e' il sentimento di violazione del proprio nido, la consapevolezza di una battaglia perduta e degli stenti patiti invano, ma c'e' pure l'orgoglio patriottico di chi non si da' per vinto. Orgoglio che trova sfogo in quella disperata raffica del mitra sparata contro il cielo.
Nella seconda parte del romanzo, travolgenti ed intensi episodi di battaglia (davvero potentissimi ..) si alternano alla lentezza estenuante della marcia nella fredda steppa russa. Una interminabile colonna di fantasmi avanza tra tormente di neve e sofferenze indicibili. Soltanto l'istintivo attaccamento alla vita li sospinge e impedisce loro di accasciarsi per abbandonarsi alla morte.
Nell' intero romanzo, accanto alla denuncia della assurdità della guerra, si avverte un senso di fraternità che accomuna non solo gli alpini, ma pure il nemico.
Memorabili due episodi emblematici. Nel primo, un carro armato russo si aggira per le vie di Nikolajewka dove infuria la battaglia. Il sergente vede i giovani soldati russi "per la prima volta cosi' da vicino in combattimento" ed annota: "Sono giovani e non hanno la faccia cattiva, ma solo seria e pallida, e compunta, guardinga". Insomma, aggiungo io, tali e quali a noi. Pochi istanti dopo un razzo tedesco centrerà quel carro ed il sergente rivedrà quei volti sfigurati dalla morte.
Nel secondo, giustamente celebre, il sergente entra in una isba e vi trova soldati russi intenti a mangiare una minestra assieme ad alcune donne e bambini. Seguono istanti in cui il tempo resta sospeso e sguardi muti si interrogano. Una donna si alza, offre al giovane alpino un piatto di minestra, lui mangia, ringrazia con un mesto "Spaziba" ed esce per tornare al caos violento della guerriglia che infuria, strada per strada, appena fuori dalla porta. Vale la pena riportare l'intero passo: "Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere"
Per inciso, la stessa empatia non si riscontra con gli alleati tedeschi coi quali pure si condividevano le sorti della ritirata ma che sembrano fatti di altra pasta: "nell’isba, poi, venne a bussare un tedesco. Vidi che non era uno dei soliti."
Il Sergente nella Neve ha dunque forte valenza morale ed il suo è un messaggio universale. A renderlo straordinariamente efficace è l'assoluta sincerità dell'autore e la veridicità della testimonianza diretta. Non ci sono filtri all'immediatezza del racconto né mediazione all'intensità delle emozioni. Un classico dunque, ma diverso.