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Un romanzo epico
“La storia di una famiglia senza storia è la sua leggenda.” Così Melania Mazzucco in uno dei capitoli conclusivi del suo romanzo “Vita”. Si, perché ciascun individuo ha la sua storia personale e le sue origini hanno diritto alla stessa dignità celebrativa che si riconosce alle grandi famiglie.
Si possono trascorrere anni accanto alle persone più familiari, accanto ai padri, alle madri, agli stessi figli e con essi spesso si parla poco, li si conosce superficialmente, ne si coglie l’essenziale, quanto basta. È dopo la perdita di uno di loro che si sente l’esigenza di squarciare quella barriera che ci separava per entrare nel loro vero mondo e cercare di capire quanto di quel mondo noi stessi facessimo parte. Se poi la perdita è di un padre o di una madre si sente più urgente il bisogno di chiarire a se stessi chi veramente siamo, da dove proveniamo, cosa ci ha reso quello che siamo.
In questa prospettiva la Mazzucco ricostruisce la vita di Diamante e Vita, svelandoci a poco a poco quanto la sua esistenza stessa sia intrecciata alla loro.
Il romanzo si apre e si chiude con due capitoli, entrambi intitolati “I miei luoghi deserti”. Non è un caso che i luoghi qui descritti nel loro aspro e arido aspetto in terra campana, vengano definiti deserti: deserti non solo per il suolo dall’apparenza sterile, ma deserti perché abbandonati da chi ha nutrito una speranza di vita migliore. Eppure questi luoghi deserti sono anche quelli che richiamano l’emigrante con una forza straordinaria e lacerante. Tufo è dunque il luogo di partenza per Vita e Diamante bambini, ma è anche il luogo dove avrebbero desiderato tornare. Nasce così su quella scialuppa della nave che li avrebbe condotti in America, nascosti e abbracciati per farsi coraggio e ripararsi dal freddo, quel legame profondo che sarebbe durato tutta una vita, nonostante le separazioni, le delusioni, i tradimenti, alimentato dalla speranza e dalla illusione di poter realizzare un sogno. Ma la vita dell’emigrante è dura e difficile, anche nel paese che ti promette benessere e libertà. “La prima immagine che offre l’America è incoraggiante – la Statua della Libertà. Ma proprio sotto quella statua gli emigranti vengono recintati come animali e avviati alle scoraggianti procedure per lo sbarco”.
Qui inizia la vita americana di Diamante e Vita, una esistenza difficile fatta di umiliazioni e sopraffazioni, ma anche di sentimenti teneri, di promesse e di progetti, una esistenza di cui porteranno per sempre le tracce sul corpo e nell’anima.
Scrivere una biografia significa intraprendere un viaggio nella memoria, nelle cose del passato, significa avere il coraggio di rivivere eventi che hanno segnato la nostra vita, a volte addirittura di viverli questi eventi in prima persona, se di essi non siamo stati i protagonisti. Si dice che è crudele alimentare la memoria di ciò che ha causato dolore, che dimenticare allevierebbe le pene, ma è proprio la memoria, per quanto dolorosa che ci aiuta a mantenere la nostra umanità, che ci aiuta a tenere vivo in noi il senso di humanitas e pietas che fanno parte della nostra cultura.
Imperdibile, dunque, questo romanzo della Mazzucco, epico, coinvolgente, emozionante
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