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AMAR PERDONA.
Nonostante l’indiscusso successo, non ho ancora spiacevolmente compreso se i libri di Elena Ferrante siano semplici capolavori o banali racconti di vita vissuta attraverso una Napoli in degrado – soprattutto umano – tuttavia devo ammettere che la sua scrittura, così raffinata e pungente, mi seduce ogni volta trasportandomi ammaliata fino all’ultima riga.
“L’amore Molesto” è l’opera prima di questa autrice, conosciuta ed osannata dai più grazie al successo de “L’amica geniale”; un intenso romanzo psicologico che ricostruisce una vicenda familiare accaduta nel passato, dalla quale emerge la storia di una madre e di una figlia in un crescendo di privazioni, ossessioni ed immagini oniriche dal sapore vagamente felliniano.
Come il cadavere della madre Amalia riaffiora da quel lembo di mare nei pressi della località Spaccavento, la figlia Delia si immerge riluttante ed attratta nelle oscure viscere di quella stessa Napoli segregata nei ricordi d’infanzia confusi dagli strati polverosi del tempo, come antichi fossili sotterrati in un punto imprecisato e messi al riparo da mani invadenti e curiose.
Le stesse mani che usano violenza e che profanano l’intimità e la grazia femminile per il solo fatto di esistere (salvo poi dipingerla su tela), per essere colpevole di troppa piacevole bellezza in abiti traboccanti di perfida e succinta malizia; Delia rivive l’amarcord di quegli anni nello spoglio appartamento dove la madre conduceva la sua modesta esistenza, fra vestiti riaggiustati e mutande rattoppate, le quali destavano le continue e morbose attenzioni di quell’uomo che, nonostante l’avanzare dell’età, è per Amalia una croce da portarsi appresso, pesante e scomoda come la verità.
L’amara verità che viene a galla in un ammuffito scantinato di un negozio di dolciumi ormai in disuso da tempo, dove Delia può finalmente ricongiungere le fila del suo passato come un tempo sapeva fare Amalia creando abiti meravigliosi con la sua macchina da cucire.
Contrariamente a quanto l’incipit del romanzo possa auspicare, Delia non vuole indagare sulla morte della madre tuttavia, proprio a causa di questa sciagura, avverte finalmente la necessità di far luce su troppi punti oscuri, bui come quel seminterrato.
Senza particolare imbarazzo e senza giri di parole, Elena Ferrante narra una storia che, seppur con qualche incrinatura, conquista e coinvolge pian piano senza dar l’impressione di volerlo fare. Come le donne di cui racconta.