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Il doppio
La prima edizione del Visconte dimezzato usci nel febbraio del 1952 per i tipi di Einaudi e già pochi mesi dopo Calvino diede conto di questa sua stranissima opera in una lettera inviata a Carlo Salinari.
Scrive, fra l’altro “Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra…”.
Per quanto questo romanzo possa essere soggetto a diverse interpretazioni, stante il senso metaforico di non poche parti della trama, sembrerebbe, di primo acchito, che il puro divertimento sia stato il motivo principale per scriverlo e del resto, nel prosieguo della lettera di cui sopra, alcune righe dopo si può leggere “Non sono solo io a pensarla così, ad esempio anche uno scrittore molto attento ai contenuti come Bertolt Brecht diceva che la prima funzione di un’opera teatrale era il divertimento. Io penso che il divertimento sia una cosa seria.”.
Mi ha colpito questo quasi ossimoro “penso che il divertimento sia una cosa seria”, anche perché vi si potrebbe leggere un altro significato di questo romanzo, forse il vero intendimento dell’autore, che sembra dirci che siamo uomini imperfetti, che non riusciremo mai a trovare in noi il perfetto equilibrio, e quindi è inutile angustiarci, ma conviene riderci su, stemperare questa amara consapevolezza di insuccesso con una dose di provvidenziale autoironia.
La vicenda, in effetti, oltre a essere paradossale, ha in questa sua credibile incredibilità il pregio di assicurare un sorriso non fine a se stesso, ma che si smorza con una riflessione sul nostro stato. In ognuno di noi vivono due anime, o meglio due parti, una buona e una cattiva, che si mescolano, che a volte vedono prevalere l’una piuttosto che l’altra, in una sorta di eterno dissidio fra l’aspirazione al bene e la tentazione del male.
Questa storia del visconte Medardo di Torralba, diviso perfettamente in due parti (la destra e la sinistra) da una cannonata turca ha quasi un sapore goliardico, una vena di fresca e incosciente gioventù che permea le righe e che in sordina finisce con il coinvolgere e addirittura travolgere il lettore.
Eppure, se ci si sofferma ogni tanto a riflettere, non è difficile vedere nell’esasperazione non solo anatomica, ma anche psicologica dei due visconti, l’uomo moderno, ancor più schiavo che in passato della sua illusione di completezza, con una coesistenza in ognuno di bene e di male che sfumano fra di loro, in quell’eterno conflitto che spesso inconsapevolmente sosteniamo ogni giorno.
Ed è uno stupore continuo nel verificare come Calvino riesca a trattare concetti complessi con una scrittura fluida, che scivola quasi sul foglio, accompagnata da quell’ironia che riesce a stemperare la crudeltà di certi immagini, in un mondo dove si impicca senza colpe e dove pur esistono località dal nome altamente evocativo e sognante come Pratofungo.
Il visconte dimezzato è il primo dei tre romanzi della Trilogia degli antenati, quasi un’introduzione, uno stuzzicante antipasto di qualcosa di molto più corposo come Il barone rampante e Il cavaliere inesistente.
Ne raccomando, per quanto ovvio, la lettura.