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“E' la vita che è una solenne fregatura”
Ci sono romanzi di evasione, che leggiamo per dimenticare almeno per qualche ora il lato oscuro del mondo, immergendoci in una favola d’amore, tanto bella quanto irreale, o in una serratissima indagine, in cui alla fine i cattivi vengono sempre smascherati e puniti. E poi ci sono romanzi come questo, che nascono invece con il chiaro intento di farci ricordare.
Che il mondo non è abitato solo da principi e principesse, ma da personaggi ammaccati, fragili e controversi. Marginali o emarginati. E decidere chi è buono e chi è cattivo non è sempre così facile.
Che la vita sa essere spietata e si accanisce proprio su chi è più vulnerabile. Perché non importa quanto provi a nasconderti e camuffarti, la lama affilata e impietosa dell’intolleranza ti raggiungerà ovunque.
Che la giustizia a volte è davvero ingiusta. E non ci sono processi per chi non soddisfa i criteri di accettazione condivisi: la società ha già emesso la sua inappellabile condanna mediatica, di accuse, minacce e insulti social. A volte, non serve nemmeno la galera per sentirsi in prigione.
Un attore porno a fine carriera, un’assassina da prima pagina, un vecchio travestito: ecco i protagonisti di questa storia. Le loro vite si toccano solo marginalmente finché una sciagurata concatenazione di eventi ed effetti collaterali li travolgerà, in un rocambolesco percorso di sopravvivenza.
“Ogni giornalista si innamorerebbe di voi, i personaggi perfetti di quelle vicende di cronaca nera che si trascinano negli anni. E in questa società basata sullo sberleffo feroce diventereste il motore infinito di battute e fotomontaggi condite con tante faccine che si sganasciano.”
Un classico noir, dunque. Invece no, quest’etichetta sembra non calzare a pennello. Latitano le atmosfere cupe e tormentate. La denuncia sociale vira su note umoristiche, con punte di comicità. La trama perde univocità per moltiplicarsi in un caleidoscopio di visioni, storie e personaggi. Si scopre così che i veri protagonisti di questo racconto sono i sentimenti. Sentimenti semplici, banali, quotidiani. La paura della solitudine di un vecchio in veletta e tubino è la stessa del nonnino in pantofole. Il bisogno di sentirsi accuditi di un quarantenne che ha venduto il proprio corpo, rifuggendo obblighi e legami, è lo stesso del giovane impiegato delle poste che si scopre all’improvviso malato. La richiesta d’amore di una donna che ha vissuto la galera e l’ingiustizia, è la stessa di ogni creatura sfortunata e indurita, che però vuole ancora credere alla speranza, nonostante tutto.
Massimo Carlotto si è divertito a sparigliare le carte, miscelando aspra critica sociale a semplicità di sentimento, parole affilate e volgari a note soffuse e malinconiche, profonde riflessioni a commedia grottesca. Un lavoro nel complesso scorrevole e godibile, a tratti forse un po’ superficiale nell’intreccio e soprattutto nella definizione emotiva dei personaggi, ma che ci trasmette un forte messaggio chiedendoci di guardare alla realtà senza pregiudizi, senza affidarci a facili verità, ma con dubbio, comprensione e umanità.
“In un delitto tutti guardano al carnefice e alla vittima. Ma intorno a loro c’è un mondo di persone che reagiscono in modo diverso, travolte dal dolore o dalla rabbia che modificano per sempre la loro esistenza”.